Non banalmente casalingo
Tornato dalle ferie, la barba era lunga. E faceva caldo.
Da quando ho raggiunto una certa età (diciamo: quella che rende inutili l’uso delle forbici per tagliare i capelli) io ho due barbieri.
Uno è Maria Bonaria, dotata di una sorta di mietitrebbia casalinga poco selettiva ma estrememente efficiente. Ma in questo caso Bonaria non aveva voglia e dubitava del risultato, così rimaneva la seconda possibilità, cioè il barbiere vero.
Il mio barbiere abituale è un colosso tatuato palestrato e motociclista molto simpatico che condivide la mia impostazione di base: pochi fronzoli salvo che il cliente non li chieda. Io non li chiedo mai, il che rende l’operazione di fare barba e capelli un po’ noiosa, forse, ma priva di emozioni e di imprevisti, se non accidentali (come una delle prime volte che ci andavo: lui tira fuori il rasoio a lama, si guarda intorno circospetto, poi va, chiude a chiave la porta del salone (eravamo soli) e viene verso di me, tutto muscoli, tatuaggi e rasoio in mano. Mi ha spiegato poi che la porta era guasta e aveva uno spiffero gelato che si poteva evitare solo chiudendo a chiave, ma io ho avuto un soprassalto).
Ma siamo in piena estate, non sapevo bene se il salone era aperto o se l’amico era in giro in moto, non avevo voglia di eventuali andate a vuoto, e quindi ho optato per un’alternativa innovativa.
Il barbiere ggiovane del mare (al mare noi c’abbiamo anche il barbiere). Uno che quando sono entrato sistemava amorevolmente ciuffo puntuto dopo ciuffo puntuto della cresta di un ragazzotto. Uno con millanta macchinette tosatrici, di tutte le forme e qualità, in grado di arabescare la crapa di chiunque nella maniera più inventiva.
E uno che quando mi sono seduto e gli ho detto che volevo darmi una bella ripulita mi ha detto, sconcertato e diffidente: «Ma i capelli non vorrà mica farli tutti pari, vero?» e sembrava che lo minacciassi di morte fisica. «Perché è un taglio banale, e io odio i tagli banali».
Invece mi ha proposto di farmi i capelli come il ragazzotto di cui sopra.
Non proprio così, ovviamente, ma sfumato qui, meno sfumato là, tanti particolari che magari non sono eclatanti ma distinguono un taglio professionale da uno «banalmente casalingo». E mentre lo diceva mi indicava man mano (mi ero fatto una risata e gli avevo detto che mi fidavo di lui e che poteva fare di me quel che voleva) i risultati di azioni che io non distinguevo minimamente, però facevo cenno di si con aria saggia. «Certo, eeeh, ahhh, si vede, eeeh».
L’unico problema era che, ho scoperto, ogni fanciulla che passi per lo stabilimento al mare sente un bisogno irrefrenabile di specchiarsi nella vetrata esterna del barbiere, aggiustarsi i capelli, sistemarsi un attimo il costume, precisare la postura. E anche quelle che non fanno tutto il defilé ma si limitano a passare sono, beh, in costume.
«La difficoltà principale qui per la realizzazione professionale», mi ha detto il barbiere, «sono le distrazioni. Senza distrazioni le farei un ottimo taglio… così, non so».
Brivido. Ma meglio le ragazze in costume della porta chiusa e del rasoio, ho pensato.
E alla fine insomma questo è lo zio Rufus dopo un taglio professionale insidiato da mille distrazioni: voi non potete cogliere tutti i piccoli particolari profusi dall’artista (neanch’io), ma si capisce benissimo che questo è il frutto di un lavoro curato e non una semplice passata casalinga.
Maria Bonaria però è combattuta. Da una parte mi trova molto più ordinato e questo è bene, dall’altra dice: «Come, banalmente casalingo? Banalmente casalingo a me?! Ma come si permette??».
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