Perché l’università assomiglia a una banda di spacciatori
Mi è stato segnalato da Feedly un interessante articolo di un blog (di Alexandre Afonso, un economista olandese) sulle dinamiche di reclutamento dei docenti nelle università del mondo (o almeno dell’area OCSE). Lo spunto iniziale (il reclutamento dei docenti come in una gang) era provocatorio e mi è sembrato utile tradurlo.Le illustrazioni e i link sono quelli originali; ho mantenuto in lingua inglese anche le note. L’articolo originale è del 2013, ma credo sia una lettura interessante anche oggi (non credo ci siano state inversioni di tendenza) anche se non condivisibile sotto alcuni aspetti. Non ho mai tradotto il titolo di studio “PhD” (dottorato di ricerca, tendenzialmente), per non generare imprecisioni nel riferimento al diverso sistema italiano. Del libro di Levitt citato all’inizio ho parlato tempo fa e, sebbene il link dell’articolo sia alla versione inglese, ne è disponibile una versione in italiano.
Perché l’università assomiglia a una banda di spacciatori
di Alexandre Alphonso
Nel 2000 l’economista Stephen Levitt e il sociologo Sudhir Venkatesh pubblicarono un articolo sul Quarterly Journal of Economics riguardante la struttura salariale di una gang di spacciatori di Chicago. Il pezzo sarebbe poi stato utilizzato come base per un capitolo nel libro di grande successo di Levitt (e Dubner) Freakonomics. Il titolo del capitolo, Perché gli spacciatori vivono ancora a casa delle mamme, era basato sulla scoperta che la distribuzione del reddito nelle bande era estremamente sbilanciata a favore dei capi, mentre gli spacciatori alla base guadagnavano meno di lavoratori che facevano lavori manuali o non specializzati, diciamo in un McDonald. Il calcolo era di una paga oraria di 3,2 dollari, cioè ben al di sotto del salario di mantenimento (ed è per questo che vivevano ancora a casa delle mamme) [2].
Se si considera il rischio di essere il bersaglio di un conflitto a fuoco con una gang rivale, di finire in galera o di ricevere un severo pestaggio dai propri capi, ci si potrebbe chiedere perché chiunque dovrebbe lavorare per una paga così misera e in simili condizioni di rischio invece di andare a lavorare in un McDonald. E tuttavia le gang non hanno nessuna difficoltà a reclutare nuovi membri. La ragione è che è la prospettiva di una ricchezza futura, invece del reddito e delle condizioni di lavoro del momento, a essere la spinta principale per le persone a rimanere nel campo: gli spacciatori di basso rango rinunciano al reddito presente in favore di una (incerta) ricchezza futura. I componenti di base dell’organizzazione sono disposti ad assumersi questo rischio per provare ad arrivare in cima, dove la vita è bella e il denaro scorre a fiumi. È molto improbabile che ce la faranno (il tasso di mortalità è follemente alto, tra l’altro), ma sono pronti a diventare ricchi o morire nel tentativo.
Dato un flusso costante di nuovi spacciatori di basso livello che entrano nel mercato e sono pronti a essere sfruttati, i boss della droga possono diventare sempre più ricchi senza aver bisogno di distribuire la loro ricchezza verso il basso. Si ottiene una massa crescente di soldati semplici “esterni” pronti a rinunciare al reddito in cambio di una ricchezza futura, e un piccolo gruppo di alti ufficiali “interni” che si accaparrano la ricchezza principalmente a scapito della massa. Lo potremmo chiamare un mercato dove il vincitore prende tutto.
L’accademia come un mercato del lavoro duale
Il mercato del lavoro accademico è strutturato sotto molti aspetti come una gang di spacciatori, con una massa crescente di soggetti periferici e un nucleo sempre più piccolo componenti interni. Anche se all’università la possibilità di essere preso a colpi di arma da fuoco è relativamente piccola (a meno che non diate voti molto bassi agli studenti) si possono osservare meccaniche molto simili. L’università è solo un esempio relativamente estremo di questa tendenza che influenza il mercato del lavoro praticamente dappertutto. Uno degli argomenti più caldi al momento nel campo degli studi sul mercato del lavoro è quello che viene chiamato dualizzazione [3]. La dualizzazione è il rafforzamento del crinale divisorio fra gli interni in posizioni di lavoro continuative e sicure e gli esterni che hanno lavori a tempo determinato e precari. Tutti i sistemi accademici più o meno dappertutto si affidano almeno in qualche misura all’esistenza di un serbatoio di esterni pronti a rinunciare a salari e sicurezza in cambio della prospettiva incerta di sicurezza, prestigio, libertà e salari ragionevolmente alti che il possesso di una cattedra stabile comporta [4].
Come possiamo spiegare questa tendenza? Uno dei fattori strutturali sottostanti è stata la massiccia espansione del numero di PhD nell’OCSE. La figura 1 mostra la proporzione di possessori di un titolo di studio di PhD o comparabile rispetto alla corrispondente coorte di età nei paesi OCSE in due momenti distinti nel tempo, nel 2000 e nel 2009. Come potete vedere, la percentuale è cresciuta di circa il 50% in nove anni, e questo aumento è stato particolarmente pronunciato in paesi come il Portogallo, la Grecia o la Slovacchia, dove è quasi triplicato, sebbene da un basso livello di partenza. Anche in paesi con una percentuale già alta, l’aumento è stato rilevante: 60% nel Regno Unito o quasi 30% in Germania. Dal 2000 il numero di dottorati nell’area OCSE è aumentato del 5% all’anno [5a].
E quindi abbiamo un numero crescente di brillanti neo-dottori che arrivano ogni anno nel mercato del lavoro e sperano di assicurarsi una posizione permanente come professore e di godere di libertà e alti salari, un po’ come gli spacciatori di base che sperano di diventare un boss della droga. Per ottenere questo obiettivo sono pronti a rinunciare al reddito e alla sicurezza che potrebbero ottenere in altre aree di impiego e accettare condizioni di lavoro precarie nella speranza di assicurarsi delle posizioni lavorative che non stanno aumentando di numero nella stessa misura. A causa del numero crescente di ingressi di potenziali soggetti esterni pronti ad accettare questo genere di condizioni di lavoro, questo permette a chi è già all’interno di affidare loro in outsourcing un certo numero dei propri compiti, specialmente l’insegnamento, in un contesto nel quale ci sono pressioni crescenti per la ricerca e il bisogno di pubblicare. Il risultato è che il nucleo si sta riducendo, la periferia si sta espandendo, e il nucleo è progressivamente più dipendente dalla periferia. In molti paesi a causa di questo sistema di incentivi le università si affidano in maniera crescente a un esercito industriale di riserva di lavoratori accademici con contratti effimeri.
Varietà di dualismi
Ciò che descrivo qui sopra è la dinamica generale che attraversa un gran numero di paesi. Tuttavia i confini fra il gruppo centrale e periferico variano da paese a paese. Posso fornire un certo nuero di esempi provenienti da paesi differenti.
Negli Stati Uniti le cifre fornite dal ministero dell’istruzione riportate da The Atlantic (figura 2) mostrano che più del 40% del personale docente delle università sono ora contratti part time senza cattedra permanente, o lettori a contratto pagati per corso impartito, senza assicurazione sanitaria o il genere di altri diritti associati a una relazione di impiego permanente [5b]. Come potete vedere dal grafico, la percentuale di personale di ruolo si è ridotta drammaticamente. Questo non vuol dire che il numero assoluto di docenti sia diminuito, è anzi cresciuto significativamente, ma la velocità della crescita del numero di docenti con lavori precari e bassi redditi è stata molto maggiore. Il Chronicle of Higher Education ha recentemente riferito di assistenti a contratto che si affidavano ai contributi dei servizi sociali [6]. La persona citata nell’articolo dichiara una paga netta di 900 dollari al mese, che è tristemente non molto lontana dalla paga oraria di 3 dollari dello spacciatore, ma per un lavoro che richiede competenze molto maggiori.
La Germania è un altro caso nel quale c’è stato tradizionalmente un forte crinale divisorio fra interni ed esterni, principalmente a causa della struttura a clessidra del mercato del lavoro accademico. Da un lato ci sono relativamente buone condizioni fra i PHD alla base, e le opportunità sono aumentate recentemente a causa di massicci investimenti in programmi di ricerca e scuole di dottorato, creadno così una massa di nuovi PhD altamente competitivi. Dall’altro lato ci sono buoni lavori in cima, dove i gli ordinari sono relativamente ben pagati e hanno una notevole autonomia. Il problema è che non c’è niente nel mezzo: per le persone che hanno appena conseguito il proprio PhD c’è solo un grande buco nel quale devono affrontare un periodo di limbo con contratti a termine (wissenschaftliche Mitarbeiter) o supplente (Vertretungsprofessur) per un certo numero di anni, dopo il quale possono sperare di ottenere il proprio primo incarico a tempo indeterminato fra i quaranta e i cinquanta anni, mentre negli anni ’70 poteva verificarsi fra i trenta e i quaranta [7. La figura 3 mostra l’età media per conseguire il PhD, per l’abilitazione e il primo icnarico di insegnamento in scienza politica fra gli anni ’70 e i ’90. L’età del PhD non è cambiata granché, ma l’età del primo incarico è aumentata notevolmente. Inoltre si deve considerare che c’è un effetto di selezione perché le persone nel campione sono solo quelle che sono arrivate fino alla cattedra, e non considera tutte quelle che hanno abbandonato durante il limbo accademico. Quel che è interessante è che gli interni (gli ordinari) che controllano il mercato sono spesso stati assunti quando non esisteva una simile competizione e ci si può chiedere se loro personalmente sarebbero stati assunti se allora ci fossero state le attuali condizioni del mercato. Un certo numero di nuovi tipi di posizioni mediane sono state create, come il Juniorprofessuren, ma queste hanno durata limitata e non corrispondono a una carriera di ruolo. La Germania è il paese della prudenza finanziaria e sia il governo federale che quelli regionali sono stati riluttanti a impegnarsi a finanziare programmi e posizioni su base permanente.
Questo limbo accademico è accentuato dal fatto che in certe discipline è diventato comune fare domanda per la docenza anche se si è già un docente ordinario di ruolo, così da poter negoziare le migliori condizioni di lavoro con la propria università. Il risultato è che è molto difficile per i neo-PhD competere con docenti già affermati, e i processi di selezione tendono a durare molto di più man mano che molti candidati rifiutano e si prendono il tempo di contrattare avanti e indietro. Il tempo lo si può avere se si ha già la cattedra, ma non è disponibile per chi ha una posizione insicura. Non si può aspettare due anni mentre un’università sta negoziando con qualcuno che alla fine rifiuterà se nel frattempo si hanno contratti a tempo determinato. Si tratta di un sistema davvero eprverso e orientato alla tutela di chi è già all’interno.
Il Regno Unito è differente dalla Germania nel senso che dispone di posizioni intermedie permanenti per coloro che hanno conseguito il proprio PhD. La Gran Bretagna è il maggiore mercato accademico in Europa e le lecturship [una posizione di assistente, NdRufus] forniscono un impiego sicuro per accademici di relativamente giovane età anche se il salario di partenza è piuttosto basso in rapporto al costo della vita, specialmente a Londra. Tuttavia, questo non vuol dire che l’alta formazione inglese non dipenda anch’essa su un’ampia forza lavoro di esterni. Recentemente il Guardian ha riferito della prevalenza dei cosiddetti contratti a zero ore nelle università inglesi [8]. Si tratta di contratti che non specificano il numero di ore che si è tenuti a prestare, e di base implicano che i lavoratori siano disponibili per il proprio datore di lavoro quando ne ha necessità. In confronto all’Europa continentale ciò che colpisce è la triste condizione di studenti di dottorato e di assistenti alla docenza che forniscono una notevole parte dell’insegnamento impartito e le cui condizioni di impiego sono molto più casuali di quelle che si possono riscontrare altrove. Mentre conseguivo il mio dottorato in Svizzera ero fondamentalmente un impiegato pubblico con un corrispondente salario, contributi pensionistici e accesso al welfare. Un’ampia percentuale di studenti di PhD nel Regno Unito non hanno un accesso regolare a fonti di finanziamento, devono far domanda qui e là per ottenere borse di studio e quando insegnano sono pagati a ora o a cottimo (esame o compito corretto) con importi che possono variare da una aprte all’altra e anche all’interno della stessa università.
Il numero di ore abitualmente insegnate nelle università del Regno Unito non è comparativamente eccessivo, almeno nelle università del Gruppo Russell [quelle di maggior prestigio, NdRufus], a causa di una maggior enfasi sulla produzione di tesine e lavoro indipendente da parte degli studenti, ma anche perché i dipartimenti possono contare su questa forza di lavoro flessibile. Questo è stato accentuato dai forti vincoli posti alle università in termini di ricerche e pubblicazioni attraverso il REF (Research Excellence Framework, “quadro di riferimento dell’eccellenza nella ricerca”). Si passa attraverso due canali. Prima di tutto, poiché la ricerca è ciò che è valutato di più, questo crea incentivi per i possessori di ruolo a ritirarsi dall’insegnamento e invece assicurarsi i finanziamenti per la ricerca e le pubblicazioni, lasciando l’insegnamento a un corpo docente casuale. D’altro lato alcune università hanno pubblicizzato un certo numero di posizioni lavorative temporanee proprio a causa del REF per poter usare le pubblicazioni di alcune persone per le proprie valutazioni. Non c’è garanzia che le università abbiano intenzione di tenere queste persone a volta che le hanno “usate”.
La figura 4 sintetizza in termini ampi le differenze descritte qui sopra. Come si può vedere questa forma di crinale divisorio interni/esterni esiste ovunque e si sta probabilmente espandendo. La cosa interessante è che questi crinali sono largamente strutturali nel senso che il sistema semplicemente non potrebbe funzionare senza questo ampio serbatoio di esterni pronti a accettare ogni forma di contratto d’impiego. Se si è mobili, strategici e attenti alle condizioni di lavoro si potrebbe tentare di sfruttare queste differenze e evitare le scatole di contenimento per gli esterni nelle differenti fasi della carriera. Questo vorrebbe dire evitare il Regno Unito per conseguire il proprio PhD e vitare la Germania dopo il PhD.
Questo lavoro è stato presentato il 19 novembre alla Conferenza Academic Careers Observatory dell’European University iIntitute. Per un’analisi aggiornata dei mercati del lavoro accademici in Europa, controllate questo articolo.
Note
[1] Levitt, S.D., and S.A. Venkatesh (2000) “An Economic Analysis of a Drug-selling Gang’s Finances”, The Quarterly Journal of Economics 115(3): 755-789; Levitt, S.D., and S.J. Dubner (2006) Freakonomics: a Rogue Economist Explores the Hidden Side of Everything. NY: HarperCollins.
[2] http://articles.latimes.com/2005/apr/24/opinion/oe-dubner24
[3] Emmenegger, P., S. Häusermann, B. Palier, and M. Seeleib-Kaiser et al. (2012) The Age of Dualization: the Changing Face of Inequality in Deindustrializing Societies. Oxford: Oxford University Press.
[4] http://www.economist.com/node/17723223
[5a] N.B.: Questo paragrafo è stato corretto per riflettere dati più recenti, che possono essere trovati qui.
[6] http://chronicle.com/article/From-Graduate-School-to/131795/
[7] I dati per gli scienziati politici da Arendes, C., and H. Buchstein (2004) Politikwissenschaft Als Universitätslaufbahn: Eine Kollektivbiographie Politikwissenschaftlicher Hochschullehrer/-innen in Deutschland 1949–1999, Politische Vierteljahresschrift 45(1): 9-31; Armingeon, K. (1997) Karrierewege Der Professoren Und Professorinnen Der Politikwissenschaft in Der Schweiz, Österreich Und Deutschland, Swiss Political Science Review 3(2): 1-15.
[8] http://www.theguardian.com/education/2013/sep/16/zero-hours-contracts-at-universities