Metriche ed altre trappole
Ho raccontato la settimana scorsa che per la prima volta in vita mia, per sostenere il giochillo della selezione dei cento brani jazz da ascoltare, ho fatto una promozione a pagamento su Facebook e ho promesso di raccontare come fosse andata.
Ora, ho speso 13 euro e rotti in tutto e si è trattato di un esperimento davvero limitato, però è stato interessante.
Intanto i risultati grezzi: 8849 persone raggiunte, 217 clic sulla notizia, 6 Mi piace in più sulla pagina Facebook, 7 condivisioni e 15 commenti; pochissima roba, eppure interessante, da una parte per capire la portata potenziale della promozione, anche rimanendo a cifre tutto sommato ragionevoli (diciamo: per una piccola associazione c’è un ritorno probabilmente migliore di altri mezzi di comunicazione), dall’altra perché la mia lista di brani è arrivata più o meno a settanta suggerimenti, quindi ho di che essere soddisfatto anche perché – e questa è l’altra cosa che mi sembra tipica di questa forma di comunicazione e dell’ambiente social che la permette – i destinatari ti rispondono e quindi sono entrato in contatto con persone gentili e interessanti che non conoscevo con le quali ho potuto interagire.
L’altra osservazione è data dalle metriche. Per esempio, so che la stragrande maggioranza delle persone che hanno dato attenzione alla pubblicità erano uomini (non ci saranno jazziste donne?) sopra i 35 anni e anzi tendenzialmente fra i 45 e i 65. Non sono sorprese enormi, evidentemente, però una cosa è pensarlo in astratto e un’altra vederlo in grafici e tabelle: ho notato con sorpresa che subito ti viene il desiderio di taroccare le metriche per vedere se puoi ottenere risultati migliori (per dire, so che un clic di un cinquantenne mi è costato 6 centesimi, e quello di una ragazzina quasi il doppio), e infatti ho deciso di prorogare la promozione per altri 15 giorni e però di migliorare il target: adesso ho escluso le donne e i giovani sotto i 35 anni, e sono curioso di vedere se i risultati migliorano – naturalmente, è tutto un gioco, ma mi chiedevo quale sia la sensibilità di una promozione così grezza come la mia a cambiamenti così rozzi. E poi intuisco che definire il proprio target è un’operazione che richiede sensibilità e talento: per esempio probabilmente avrei ottenuto risultati migliori selezionando fra gli interessi del pubblico al quale rivolgermi soltanto la “musica”, mentre io ho teuto tutte quelle che a suo tempo avevo inserito come parole chiave della pagina: giochi, cinema, gialli, fumetti, finanza, sviluppo sostenibile e così via, un mix sicuramente curioso e un po’ informe: un po’ l’ho fatto perché non avevo voglia di sbattermi a modificare troppe parole chiave, un po’ mi sono reso conto che probabilmente c’era dietro una filosofia coerente, cioè quella di entrare in contatto con il mio pubblico – qualunque cosa voglia dire questa parola nel mio caso – e non con chiunque, che magari mi suggeriva un brano jazz da finimondo ma era uno con il quale non avevo niente in comune.