Primo, non entrare in banca
Dal mio punto di vista personale il libro (che non è un romanzo, ma più un racconto lungo) soffre un po’ del fatto che molte cose raccontate, cioè le malefatte delle banche… le sapevo già, sono un po’ pane quotidiano, e quindi non rappresentano quello che, credo, per altri sia il motivo principale di interesse.
Sotto questo punto di vista il giudizio appropriato sarebbe da sei e mezzo, perché le cose che mi sono piaciute di più, il rapporto con la moglie, le interazioni coi colleghi, il sottotesto sulle metafore, i corsi di formazione, gli sforzi di motivazione del personale, sono un po’ trascurati e avrei voluto che venissero più approfonditi: certo, richiedeva una struttura diversa del racconto, meno centrata sugli episodi di un anno vissuto pericolosamente. Non so se Gorba abbia scritto altro, sarei curioso di leggerlo quando si confronta con altri temi.
Per un lettore più “profano” invece, il valore, diciamo così, “documentario” è certo maggiore, e il romanzo può essere una introduzione splendida al pensare diversamente il proprio rapporto col denaro e le banche, nonché un utile ammonimento: primo, non entrare in banca, appunto. Neanche da cliente, forse, oltre che da dipendente. E per un tipo di lettore del genere il voto sale almeno fino al sette e mezzo.
Progetto comunque di regalare il libro a mia sorella e mio cognato, alla mia collega di università e alle altre conoscenze che lavorano in banche tradizionali: per loro, senz’altro, leggere il romanzo vorrà dire ritrovare pezzi di vita vissuta e molte frustrazioni.