Amori contrastati
Trovo oggi sul New York Times una storia bellissima e molto cyberpunk, che potrebbe tranquillamente essere un film hitchcockiano.
Allora, la storia è questa: il signore qui a destra si chiama Paul Frampton ed è un fisico teorico che insegna nell’Università della Carolina del Nord.
Su Google scholar trovo una trentina di pagine di citazioni, quindi direi che è non è un professorino alle prime armi, o uno che si occupa solo di didattica: è, beh, un importante scienziato, anche se non forse materiale da premio Nobel.
Il professore è settantenne e conduce una vita solitaria. Si è sposato intorno ai cinquant’anni ma in seguito ha divorziato. Come si scoprirà al processo (ebbene si, andremo a finire con un processo) da un po’ di tempo ha preso a frequentare siti di appuntamenti.
Lei invece, è Denise Milani, cecoslovacca. Non fatevi ingannare dagli occhiali da professoressa: di mestiere non fa la fisica (forse in un certo senso si) ma la modella di costumi da bagno.
Lei e il professore si sono conosciuti su un sito di appuntamenti, ed è sbocciato l’amore. Lei era stanca della sua vita materiale e degli uomini che la consideravano solo per le sue… le sue…
Ho serie difficoltà a trovare una definizione.
Comunque.
Lei era stanca e lui così dolce, e fra loro è sbocciato l’amore.
Se vi sembra strano che si possa incontrare su un sito d’appuntamenti per sfigati una modella cecslovacca con quelle… quelle…
Comunque.
Dicevo: strana coincidenza, no? Uno penserebbe che lei abbia un altro tipo di vita sociale. E il professore non ha trovato strano che la ragazza si rifiutasse di parlare con lui in voce. Solo chat.
No no, non l’ha trovato strano per niente: dopotutto lei è così spirituale, come prova il fatto che vuole lasciare la sua vita vuota e materiale e scappare con lui. È una prova schiacciante, no?
E poi lei non vuole parlargli al telefono, però lo vuole incontrare.
A Bogotà.
Si troveranno in un romantico albergo, lui, lei e le sue… le sue…
Comunque.
A Bogotà.
Solo che quando lui arriva a Bogotà lei non c’è. È dovuta andare a Buenos Aires per lavoro: uno di quegli stupidi servizi in bikini che permettono che uomini anziani possano sbavare sulle sue… le sue…
Comunque.
Non tutto è perso, per il professore: Denise vuole che lui la raggiunga a Buenos Aires. E, a proposito? Potrebbe essere così gentile da portarle una valigia che sbadatamente ha dimenticato a Bogotà?
Una valigia. Dimenticata. A Bogotà.
Una valigia vuota che ha solo valore sentimentale.
Una valigia vuota che viene consegnata al professore da un tizio coi baffoni e gli occhiali scuri in un vicolo secondario.
A Bogotà.
Credo che cominciate a capire: ma Frampton no, probabilmente perché tutto quel che ha in mente è la possibilità di incontrare finalmente Denise e le sue… le sue…
Comunque.
Ovviamente va a finire come doveva finire: dentro la valigia ci sono due chili di cocaina e Frampton viene arrestato, passa qualche mese in un camerone con altri ottanta carcerati per motivi di droga e, dopo una breve parentesi agli arresti domiciliari, viene condannato a quattro anni e otto mesi per traffico internazionale di stupefacenti.
Della falsa Denise Milani e dei suoi complici, ovviamente nessuna traccia.
Falsa Denise Milani.
Diciamolo con chiarezza, che altrimenti poi mi condannano per calunnia: la vera Denise Milani non c’entrava niente, e non aveva mai chattato con Frampton. Il professore avrebbe dovuto capirlo: è impossibile usare una tastiera del computer per chi, come la Milani, ha quelle… quelle…
Comunque.
Al processo salta fuori che è una tattica relativamente frequente: l’anno precedente una signora neozelandese è stata condannata per una storia simile a quella di Frampton (non so chi fosse l’esca nel suo caso).
Al processo la linea difensiva del professore è stata quella di dire che lui, ovviamente, non aveva idea che nella valigia c’era la droga; i suoi difensori l’hanno dipinto come un tipico scienziato distratto e fuori del mondo, privo di quel tanto di senso pratico da permettergli di capire che era tutta una truffa.
Una posizione credibile, soprattutto se i giudici danno un’occhiata alle foto usate come esca e a quelle… quelle…
Comunque.
E allora com’è che l’hanno condannato? Ma perché gli inquirenti hanno messo le mani su una serie di sms e di mail che dimostrano che il professore sapeva che la valigia conteneva droga.
Gosh!
Eh, si. Lo sapeva. Il professore non era un truffato, ma un collaboratore volontario.
Come nelle truffe migliori, non gli avevano tirato un pacco ma un doppio pacco: la falsa Denise Milani l’aveva convinto a rubare la droga ai suoi committenti (oh, mio Dio, sono una povera ragazza finita in un brutto giro, ma voglio tirarmene fuori: e questa, capisci, potrebbe essere la nostra occasione, pensa a tutto quello che potremmo fare con i dollari della vendita della droga, io, te e i due mammuth). E lui, di fronte alla possibilità di salvare la donzella e fare anche un pacco di soldi, c’era cascato in pieno.
Solo che la truffa è riuscita troppo bene: il professore ha cominciato a cambiare il piano, credendosi un agente segreto vero, e si è fatto beccare.
Capita.
La storia intera merita di essere letta in originale: è pubblicata sul sito del New York Times.
Disclaimer
Temo che possa essere un po’ maschilista il modo con cui ho trattato la Milani e le sue… le sue…
Comunque.
La storia del professore mi ha ricordato in maniera irresistibile la famosa storia di Ratman con Gessica Lovebol, e lo spirito di Leo Ortolani si è impadronito di me. Non sono stato io! È stato lui!! Cioè: loro.
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