Oblivion
Ho visto in rete che Oblivion ha suscitato reazioni contrastanti e complessivamente non esaltanti: le stroncature sono forti e e le recensioni positive puzzano un po’ di ufficio stampa.
A me, devo dire, è piaciuto. Con avvertenze.
Cominciamo dal male: Oblivion non passa la regola di Veneruzzo, non è così potente da essere indimenticabile e soprattutto è esattamente quel che si può definire un film “di genere”: è tutto già visto, talvolta anche con citazioni visive letterali o situazioni prese di peso da questo o quel capolavoro del genere. Tutto fatto con molta classe, per carità, però lo spettatore appena esperto se ne accorge.
In realtà ci si dovrebbe chiedere se questo sia un probema: perché Oblivion dimostra una volta di più che il presentare delle situazioni ricorrenti, come il duello nella Main Street o l’inseguimento degli indiani nei film western, non è necessariamente un problema – l’importante è che non sembri una cosa ficcata lì a forza, o un puro assemblaggio meccanico di materiali narrativi. Sotto questo punto di vista Oblivion rimane largamente al di quà della sufficienza, anche se la mancanza di un guizzo di originalità o di un elemento di personalità proprio lo condanna a una onesta dimensione di passaggi televisivi futuri senza mai raggiungere il rango di cult. Ecco: per alcuni aspetti dal punto di vista della struttura narrativa e per una certa prevedibilità Oblivion potrebbe tranquillamente essere una produzione di serie B per la TV.
Eppure, nonostante questo, Oblivion non è per niente male. Perché ha un livello di professionalità di alto livello, nelle interpretazioni degli attori (dico dopo di Cruise), nella solida gestione della trama – oltretutto senza sbavature, senza buchi logici, il che di questi tempi è grasso che cola, con un finale coerente – nella potenza visiva (la casa high tech fra le nuvole è bellissima, ma ci sono molte altre cose), nel rifiutarsi di rendere il film più fracassone e action del necessario, nella quantità di retorica giusta, nella mancanza di scene madri con spiegoni che offendano l’intelligenza dello spettatore.
La storia è semplice: la Terra è stata devastata da una invasione aliena ed è adesso sostanzialmente una immensa unità di produzione gestita da robot mentre la popolazione si è trasferita su una astronave gigantesca, che attende solo che si finisca di estrarre dalla terra le risorse necessarie per migrare su Titano. Alla produzione, che deve essere protetta da quel che resta degli invasori, sovraintendono dalla casa sulle nuvole due umani: Cuise (il capitano Jack Harper) in una strana qualità di meccanico dei droni, pilota da combattimento e e sorvegliante armato contro gli alieni e Victoria (Vicka), la sua compagna con funzioni di infermiera, amante e ufficiale di comunicazione con l’astronave, dove il loro controller Sally ha la stessa simpatia di un Max Headroom col mal di denti. Dopo un inizio pacato che serve a disporre le carte sul tavolo la situazione si fa via via più ingarbugliata (diciamo dal momento in cui gli alieni mettono a segno un grosso colpo – non dico di più per non rivelare nulla) e il passo del film più intenso: lo spettatore ci guadagna in interesse man mano che l’intrigo si dipana – con sorprese e colpi di scena, anche se gli indizi sono tutti messi in bella vista, correttamente – ma il film perde qualcosa in termini di visionarietà: come dicevano i maestri di scacchi sovietici, la minaccia è più forte dell’esecuzione, e quando le mosse (cioè i colpi di scena, le spiegazioni) sono eseguite al film rimane solo da mettere in fila la parte avventurosa e lo scioglimento finale: con un ritmo adeguato e senza stanchezze, devo dire. Ma finché dà ad intendere che potrebbe succedere chissà che il film è, ovviamente, molto migliore.
È tutto al servizio di Cruise, che è la figura centrale sotto tutti i punti di vista – anche qui non vorrei rivelare troppo – e Cruise ripaga facendo molto suo il film, anche a costo di eclissare le figure femminili, che avrebbero probabilmente meritato di più, parecchio di più.
Sulla regia sono incerto. Forse nelle mani di altri il film sarebbe uscito dalla sufficienza piena per andare verso il rango di capolavoro. Può darsi: ma le ultime “prove di regia” nella fantascienza, nel provare a passare dal solido artigianato al rango di maestro hanno prodotto spesso film imbarazzanti.
Meglio Oblivion, allora.
Appena visto il film, il primo giudizio sommario che mi è venuto in mente è stato “la cosa più bella di Oblivion è l’arredamento”. Devo dire che lasciando i giudizi lapidari alla twitter, mi trovo abbastanza d’accordo con la tua recensione.
Ciao Simone, credevo di averti già risposto ma forse l’aggiornamento si è mangiato qualche commento. Dicevo che anche io avevo pensato che si poteva fare una recensione satirica che cominciava con Jack e Victoria che vanno all’Ikea per arredare la casa spaziale, ma poi non sono riuscito a farla divertente e ho lasciato perdere.
Adesso non so piu’ se comentare qui, su FB RS, o su FB iacine … Una cosa che ho notato (per parlare degli attori) e’ che le espressioni di Victoria sono estremamente marcate, quasi come se qualcuno le dicesse “adesso per due secondi fai la preoccupata” “adesso la sorpresa” “adesso la felice” etc.
Non sarà una gradissima attrice, ma più che altro deve fare l’algida per tutto il film e questo la penalizza.
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