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Tempi difficili, compagni

Il 25 aprile mio e di Maria Bonaria si apre con una semplice convinzione: prima andremo a fare a spesa al mercato di San Benedetto, ché si festeggia con un bel pesce, oggi, e poi si va alla manifestazione.

Che tanto inizia alle 10, inizia.

Il primo granellino nell’ingranaggio lo mette mia mamma, che telefono alle 9.15.

«Come, non siete ancora pronti?». Non che non siamo pronti. Cioè siamo pronti ma prima andiamo a mercato eccetera pesce eccetera tanto inizia eccetera 10.

«Veramente iniziava alle 9».

Uhm. Vabbe’. Ci sbrigheremo alla svelta al mercato, forza, di corsa, su.

Siamo appena scesi dall’autobus che arriva il secondo granellino:«Non solo cominciava alle 9, come ti avevo detto», alle mamme piace fartelo rimarcare, «ma sono anche già arrivati al monumento ai caduti», cioè a circa metà percorso.

Sconfitti rimandiamo il mercato a dopo la manifestazione, saliamo su un altro autobus che più o meno va nella stessa direzione del corteo e tentiamo di raggiungerlo in modo da fare, insomma, almeno un tratto.

L’autobus va così esattamente nella stessa direzione del corteo che a un certo punto, siccome la strada è ostruita, viene spostato su un’altra direttrice, per poter circolare con più facilità. È a questo punto che le classi popolari autotrasportate dal mezzo pubblico manifestano, nel modo seguente, la loro comprensione della festa.

Signore anziano, mugugnando fra sé: «Eddai, e non girare, che tanto sono quattro gatti».

Signora distratta: «Ma perché gira?».

Altra signora: «Ci dev’essere qualche processione…».

Prima signora: «Processione?».

Maria Bonaria: «È il 25 aprie, signora, Festa della Liberazione, e c’è una manifestazione, non una processione».

Secondo signora: «Ah, ecco. È una solennità, praticamente, e quindi fanno questa “manifestazione”, così è?».

Prima signora: «Ah, una manifestazione. E infatti oggi è festa…».

A questo punto una terza signora, sino a quel momento ignara, fa: «Ma il pullman sta girando?! Ma non passa in via Sonnino?».

Le altre signore, ormai edotte, fanno: «C’è la manifestazione, signora…».

(il signore contrappunta: »Ma non ci va nessuno…).

«Ma io devo andare in via Sonnino! Potevano avvisare…».

«E cosa vuole che sia, signora, adesso scende, si fa due passi…» (le distanze, in effetti, sono minime).

«Ma, oh signora, cosa sta dicendo, che io devo andare a lavorare, che cosa due passi e due passi, che non ne ho tempo di passeggiare, io, lasciatemi la testa con queste manifestazioni!!».

Buon 25 aprile, penso, mentre scendo. Poi arrivo alla stanca e spenta liturgia del corteo, rallegrata dall’incontro con tanta gente che è un po’ che non vedi, non certo da contenuti o vivacità politica, assisti alla bolsa sequenza di relatori sul palco e ti chiedi se i passeggeri del pullman non abbiano ragione loro, in fondo.

Mi chiedo anche come rendere di nuovo il 25 aprile una festa di popolo, ma onestamente risposte non ne ho (alcune in realtà sì, e passano per un certo numero di cambi di leadership).

Ne frattempo che mi facevo queste domande ho allegramente sfilato, salutato diversi conoscenti e molti di questi li ho fotografati.

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