No, non siamo tutti davvero Charlie
Sono grato alla mia amica (e comare) Valeria Galletta che mi ha indirizzato a questo articolo di openDemocracy.net a proposito dell’assassinio dei redattori e disegnatori di Charlie Hebdo. L’ho tradotto anche se non sono sicuro di condividere tutto l’articolo, ma è interessante, ben argomentato e ragiona, cosa che in questo momento, fra reazioni di pancia e impazzamento da social non si vede fare particolarmente (dei miserabili che strumentalizzano – ce ne sono tanti e lo fanno in tante maniere – non voglio nemmeno parlare). E invece bisogna ragionare, perché gli oppressori – tutti – oggi tentano di costringerci dentro cornici emotive, nelle quali le vere possibilità di scelta ci sono sottratte.
L’articolo originale è in inglese. Le immagini a corredo sono l’unica vignetta che ho trovato di colleghi vignettisti dei morti che non fosse grondante di retorica e scatti di campagne di Reporters sans frontieres per la libertà di stampa.
P.S. Ho cominciato a tradurre l’articolo ieri. Siccome siamo nella società dello spettacolo, vedo che già oggi è partita la contro reazione emozionale all’ondata emozionale, per cui oggi sui social va di moda scrivere Io non sono Charlie. Ognuno lo fa per portare acqua al suo mulino: io, non volendo unirmi a nessuna schiera (morrò pecora nera, come diceva Guccini?), avevo pensato di non pubblicare più nulla, ma siccome l’articolo anche riletto in queste condizioni rimane interessante, ho deciso di farlo uscire lo stesso.
No, non siamo davvero tutti Charlie (e questo è un problema)
di Cas Mudde
Il tragico attacco terroristico al giornale satirico francese Charlie Hebdo a Parigi, con l’uccisione di dieci giornalisti e due poliziotti, è terrorizzante su molti livelli. Sebbene i tre terroristi siano ancora ricercati e le motivazioni ufficiali non siano state ancora accertate tutti gli indizi conducono a jihadisti, probabilmente mussulmani nati in Francia di ritorno dalla guerra in Siria (si notino le simiglianze con l’attacco terroristico al Museo Ebraico di Bruxelles lo scorso anno).
La risposta generale è stata una che abbiamo visto troppo spesso in precedenza, per esempio dopo l’uccisione del regista olandese Theo van Gogh nel 2004 o l’attacco terroristico agli USA del 2001. I politici usano l’attacco per esaltare la società perfettamente democratica e libera alla quale presiedono e sottolineano che tutto questo non ha niente a che fare con l’Islam, ma solo con degli individui patologici che usano la religione come scusa per ideali estremistici. I cittadini rispondono sull’unico mezzo di comunicazione sul quale sono ancora attivi, i social, e fanno grandi proclami di solidarietà prima di essere distratti dal video di uno scoiattolo sugli sci o di un gattino che suona il piano. Tutti dichiareranno che siamo tutti chiunque la vittima del giorno sia.
Oggi Facebook e Twitter sono pieni di dichiarazioni come Je suis Charlie («io sono Charlie») e Siamo tutti Charlie. Sfortunatamente, non lo siamo. O, più precisamente, con poche eccezioni noi non siamo Charlie e questo è uno problema grave per le democrazie liberali nel mondo. Lasciate che vi dia tre ragioni perché la maggior parte di noi non è Charlie e perché questo è problematico per le nostre democrazie.
Prima di tutto, molti dei più accesi “difensori”di Charlie Hebdo sono fan molto recenti e selettivi del giornale satirico. Per esempio, è stupefacente quanti islamofobi e persone di estrema destra stanno dichiarando il loro amore per una rivista che fino a poco tempo fa avrebbero definito uno “straccio comunista” (dopo che la mordente satira di Charlie sbeffeggiava i loro eroi, da Gesù Cristo a Marine Le Pen). Questi sono gli eroici difensori della libertà di parola, come Geert Wilders, che vuole bandire il Corano perché incita alla violenza.
Molte persone non sono Charlie esattamente perché Charlie Hebdo critica tutte le religioni e tutti i politici, senza distinzione della loro etnia, genere, ideologia, eccetera. Per questo i leader di tutte le religioni e di tutti i partiti l’hanno criticato. Detto questo, sono stati attaccati con la violenza solo da estremisti musulmani. Questo è un fatto che non può e non deve essere negato! Il che non vuol dire che solo gli estremisti mussulmani attaccano i loro critici – per esempio, recentemente due membri francesi della Lega di Difesa Ebraica sono stati condannati per aver piazzato una bomba sotto l’auto di un giornalista anti-sionista. Tuttavia è un fatto sgradevole ma incontrovertibile che la maggior parte degli atti e delle minacce di violenza nell’Europa contemporanea proviene da estremisti islamici. Ciò non è a causa dell’Islam, dato che il 99,9 per cento dei mussulmani non è violento, ma non vuol dire che l’Islam non vi giochi assolutamente nessun ruolo.
In secondo luogo, molti non sono Charlie poiché credono che i dibattiti democratici dovrebbero essere “civili” e non irritare le persone. Il problema è che la “civiltà” è un concetto scivoloso, che ha differenti significati per persone differenti. Similmente è impossibile valutare se le persone sono irritate, per non parlare di comparare in maniera obiettiva quanto irritate siano. Le persone possono essere irritate riguardo a qualunque cosa, quindi perché la sensibilità religiosa dovrebbe avere una protezione speciale? Chi può dire che la critica di Charlie dell’Islam(ismo) irrita un mussulmano molto pio più di quanto una critica dell’Équipe nei confronti del Paris Saint German ferisce un fan accanito del PSG?
Lungo tutta la storia la “civiltà” è stata definita in linea con gli interessi dell’establishment politico. È ancora così, il che vuol dire che l’argomento della “civiltà” è quasi sempre usato in maniera selettiva e opportunistica. Certi gruppi sono protetti dai discorsi “incivili” e altri no (come nel caso della normativa antidiscriminatoria). Questo protegge questi gruppi dalle critiche a prescindere dalla esattezza della critica, il che nel lungo periodo danneggia non solo i critici ma anche i (non) criticati, che non hanno incentivi a riflettere e migliorare.
In terzo luogo, e conclusivo, molte persone non sono Charlie perché sono spaventate. Molti non criticano mai apertamente niente e nessuno, o almeno nessuno che sia relativamente potente. Ma anche fra i critici di professione, come i comici e gli intellettuali, l’autocensura sta progressivamente diventando la norma. Molti affrontano argomenti relativi agli ebrei e a Israele in maniera molto più attenta rispetto ad altri gruppi o Stati, per paura di sanzioni in campo professionale (si pensi al caso Salaita negli Stati Uniti). Ugualmente preoccupante è il crescente gruppo di comici e intellettuali che si autocensurano su argomenti relativi all’Islam e ai mussulmani. Già diversi anni fa mi capitò di incontrare personalità intellettuali olandesi che mi dissero, in privato, che avevano smesso di polemizzare con l’Islam(ismo) in pubblico a causa di violente minacce a loro e ai familiari. Perfino l'”impavido” comico statunitense Stephen Colbert non mostrò le famose vignette su Maometto, o altre immagini considerate offensive per i mussulmani, mandando invec ein onda una (divertente) immagine di “disturbi tecnici”. Sebbene si sia preso gioco della sua paura di una risposta vilenta, non l’ha mai seriamente problematizzata e, alla fin fine, ha censurato sé stesso. Perfino i pochi spiriti coraggiosi che hanno il coraggio di satirizzare l’Islam(ismo) spesso vengono censurati dai mezzi di comunicazione o dai loro datori di lavoro – il noto “episodio di Maometto” di South Park è stato più volte censurato da Comedy Central!
È vero che ci sono spiegazioni strutturali per l’alto livello di rabbia e di frustrazione della parte (radicale) della popolazione mussulmana europea così come per il fatto che alcuni di loro ricorrono alla (minaccia della) violenza. Nessuna di queste giustifica azioni violente all’interno di una democrazia, ma questo non significa che non possiamo imparare qualcosa da esse. È confortevole e politicamente utile dichiarare che “noi” siamo sotto attacco perché “loro” non sono capaci di gestire le “nostre” libertà, in particolare la libertà di stampa. I politici predicheranno che “gli islamici” devono venire a patti col fatto che “loro” (adesso) vivono in una società dove ogni cosa può essere criticata, facendo riferimento a critiche nei confronti dei cristiani e del Cristianesimo (sebbene spesso degli anni ’60 e ’70), ma questo è al più ingenuo e nel caso peggiore falso. Molte critiche “accettabili” dell’Islam o dei mussulmani sarebbero considerate inaccettabili, e illegali!, se avessero come bersaglio altri gruppi – per averne una prova sostituite “mussulmano” con “ebreo” o “nero” e vedete se pensate ancora che la critica è accettabile. Quindi alcuni mussulmani considereranno l’argomento della “libertà di parola” come un sotterfugio.
Colelgato a questo è la percezione di impotenza fra la popolazione mussulmana d’Europa. Alcuni pensano che i mussulmani sono discriminati perché non hanno voce nel sistema politico. Si richiama l’attenzione al potere degli ebrei, effettivamente talvolta ispirandosi a una visione del mondo antisemita, e al loro tentativo coronato da successo di reprimere con più efficacia l’antisemitismo. Essi sentono che i mussulmani sono costretti o a affidarsi alla benevolenza delle élite non mussulmane, che si rivelano piuttosto selettive nel loro sostegno (anche a sinistra) o a ricorrere a misure extra-politiche, come la (minaccia della) violenza.
Permettetemi di ripetere che queste non sono giustificazioni accettabili per azioni o parole violente! Ma non sono neppure senza una base fattuale. Se “noi” ci aspettiamo che “loro” rispettino la libertà di stampa, allora questa libertà di stampa dovrebbe o essere totalmente libera o proteggere tutti i gruppi nello stesso modo (che, io credo, è impossibile). Se “noi” vogliamo che “loro” rispettino le (non “le nostre”) regole democratiche del gioco, “noi” dovremmo anche accettare “loro” come cittadini in condizioni di uguaglianza. Troppo spesso l’Islam e i mussulmani sono trattati come stranieri, collegati all’immigrazione o a un paese o regione lontano. Ma la maggioranza dei mussulmani nella maggior parte dei paesi europei sono cittadini, nati e cresciuti in Europa. In altre parole, “loro” sono “noi”! Quindi così come “loro” devono venire a patti col fatto che vivono nel “nostro” paese, “noi” dobbiamo venire a patti col fatto che è anche il “loro” paese”!
Quindi, come procediamo in maniera costruttiva, rafforzando le nostre democrazie liberali piuttosto indebolendole con reazioni autoritarie basate sui pregiudizi? Invece che restringere ulteriormente la libertà di parola, limitandola a “civili” discussioni o ampliando ancora di più la normativa anti-discriminazione, dovremmo essere all’altezza dei nostri slogan e abbracciare la libertà di parola per tutti, compresi gli antisemiti e gli islamofobi! E ugualmente, dovremmo criticare e satireggiare tutti, dagli atei ai cristiani, dagli ebrei ai mussulmani e dai Verdi all’estrema destra. Questo richiede non solo che noi tutti prendiamo la parola contro gli estremisti, ma anche che difendiamo coloro che li affrontano… anche prima che vengano minacciati o uccisi.