Etherlords, o il vantaggio della rozzezza
Tanto tempo fa c’era un bel gioco per computer che si chiamava Etherlords, e che riprendeva in maniera molto interessante le atmosfere dei giochi di carte collezionabili alla Magic: the Gathering. Ci giocai per un po’ sul mio PC, poi dovetti disinstallarlo e non riuscii più a rimetterlo in funzione: erano i tempi nei quali una copia del gioco te l’aveva data qualcuno che l’aveva avuta da qualcun altro al quale a sua volta l’aveva portata il mago Merlino e quindi addio. Fine del gioco.
Da poco ho notato sullo store di Google un gioco, oltretutto consigliato dallo staff, che si chiamava anch’esso Etherlords e l’ho scaricato. È stata un’esperienza di gioco piuttosto interessante e anche un po’ strana e quindi vorrei condividere qualche riflessione.
Premetto: non sono un gran giocatore su piattaforme mobili: sul telefono non ho niente e sul compagno di vita con lo schermo da 5″ tengo quattro giochi, poca vita, sempre quella.
Etherlords, la recensione
Allora, prima di tutto: non è lo stesso gioco del PC. Ci sono un sacco di app che riprendono più o meno pari pari giochi vecchi e stravecchi, ma non è questo il caso: Etherlords ha una sua concezione abbastanza ad hoc per la nuova piattaforma, anche se del vecchio gioco recupera più o meno l’atmosfera, le varie razze e mostri e, soprattutto, il debito verso i vecchi giochi di carte collezionabili. Già questa mi sembra una cosa interessante: non è che questo tipo di sfruttamento del brand su piattaforme diverse sia nuovo nel mondo del gioco, ma nel caso specifico mi sembra fatto con intelligenza.
L’ambientazione
Vedo da qualche parte che Etherlords è presentato come “gioco di ruolo”. Boh: il vostro personaggio, il “signore dell’etere” del titolo, non compare mai in gioco, non c’è evoluzione dei personaggi e lo sviluppo della trama e del tutto elementare, quindi la definizione regge fino a un certo punto.
È vero però che c’è un certo sforzo nel dare una cornice narrativa al gioco. Fondamentalmente vi viene raccontato all’inizio che il mondo (un classico mondo fantasy, abitato da centinaia di razze divise in tre grandi categorie, Chaots legati al fuoco, Vitals legati alla terra e Kinets (aria o acqua, non si capisce bene), è stato sconquassato da un terribile cataclisma ed è ora composto sostanzialmente di “schegge” che galleggiano nel cielo: il vostro compito è ricomporre l’unità del mondo, superando varie prove.
Peccato che di queste prove voi vediate poco: visiterete ciascuna scheggia, sconfiggerete dei mostri e infine un boss di fine liv… scheggia (poi vi racconto le meccaniche del gioco) e poi l’elfetta che vi fa da narratrice vi dirà cose tipo: «Fiuuuu… quel Ranocchio Velenoso delle Paludi Nere era molto difficile da sconfiggere. Presto, ora prendiamo il Fungo Biforcuto Impollinatore che siamo venuti a cercare. Ecco, preso» (senza nemmeno un filmatino con gli effetti speciali, dopotutto siamo su piattaforma mobile).
Poi andate su un’altra scheggia, combattete altri mostri, sconfiggete un altro cattivone finale, e l’elfetta vi dice che avete usato il Fungo Impollinatore per rivitalizzare la Foresta del Cactus Longitudinale e che adesso bisogna cogliere la Ghianda Benzorizomatica, quindi andate su un’altra scheggia e così via: non ci sono deviazioni dalla trama base e quindi il gioco è, sostanzialmente, un platform a livelli successivi obbligati.
Meccaniche di gioco
La cosa che mi ha più sorpreso è che Etherlords è, sostanzialmente, due giochi in uno, nemmeno troppo fusi l’uno con l’altro.
Il primo gioco non è di combattimento, ma è sostanzialmente un puzzle: ogni volta che accedete a una nuova scheggia vi viene presentato un tavoliere su cui si possono poggiare dei “quadrati” che rappresentano territori diversi: boschi, laghi e prati (o una combinazione di più elementi). Ah, scusate: altre volte i tre elementi sono caratterizzati diversamente: lava, roccia o sabbia, oppure ghiaccio, neve o acqua, ma insomma, sempre lì siamo.
Il vostro compito iniziale è sistemare queste tessere secondo un obiettivo prefissato: che so, formare almeno tre laghi, o una foresta grande almeno otto quadratini, cose così. È un tipo di puzzle abbastanza semplice nelle meccaniche, anche se non sempre facilissimo da risolvere: la cosa un po’ strana è che il gioco in molti casi offre un tool interno che risolve il puzzle per voi, così potete concentrarvi sull’altro gioco, che è il combattimento.
Per ottenere i quadratini coi quali risolvere il puzzle dovete combattere nell’arena. Il sistema vi contrappone degli avversari prefissati, più o meno equilibrati rispetto al vostro livello. Non ho capito bene come sia costruito il database dei possibili avversari: io gioco offline ma vedo che affronto quelli che palesemente sono “eserciti” di altri iscritti al gioco: immagino che quando ci si connette il sistema automaticamente carichi e scarichi la composizione dei “mazzi” che altri giocatori si sono organizzati e li utilizzi per proporre gli antagonisti in maniera casuale (in alcuni casi i combattimenti sono in tempo reale, in una sorta di torneo globale o contro i vostri amici iscritti al gioco, ma non avendo provato questa dimensione non mi pronuncio).
Nel combattimento utilizzerete il vostro “mazzo”: qui il gioco rivela la sua impostazione latente (ho notato addirittura che nell’immancabile negozio le funzionalità aggiuntive che potreste scaricare a pagamento si chiamano “bustine”). Ciascuna carta rappresenta un “mostro”, un vostro campione con determinate abilità: punti vita, danni di attacco e un’abilità speciale diversa per ciascuno. Le razze presenti sono moltissime e garantiscono una grande variabilità, soprattutto man mano che si avanza di livello. Dopo il paio di servitori che vi vengono dati all’inizio vi procurerete nuovi campioni costruendo territori (cioè i famosi laghetti, praterie e foreste), comprandoli nel negozio oppure man mano che sconfiggete i cattivoni di fine livello (che entrano al vostro servizio). Ve ne accorgerete, purtroppo, solo più avanti, ma i mostri come in tutti i giochi di carte collezionabili sono divisi in categorie di rarità: comuni, meno comuni, rari e unici. Un meccanismo aggiuntivo del gioco vi consente di “fondere” i vostri mostri facendoli crescere di livello (ma non potete fare ingegneria genetica, cioè se mischiate uno Sciamano Lemure con un Pistolero Aviak ottenete uno Sciamano più forte, non uno Sciamano volante o un Pistolero Lemure; peccato, sarebbe stato carino). Il modo con cui investite su determinate carte facendole crescere a scapito di altre fa sì che il vostro mazzo acquisisca una fisionomia vostra individuale. Da qualche parte ho anche visto che è possibile “vendere” i mostri al gioco in cambio di “etere”, che è la “moneta” del gioco con la quale fondete i mostri e fate molte altre cose, ma non ho capito come si faccia.
Fra tutti i mostri che possedete ne dovrete scegliere tre per combattere nell’arena. Il combattimento va avanti automaticamente, coi vostri campioni che badano da soli a se stessi: tutto ciò che dovete fare è decidere chi entra in campo e in che posizione (sinistra, destra o centro), quale delle abilità speciali usare quando giunge il momento e, preliminarmente, quale mostro far evolvere. Anche così il gioco ha le sue particolarità tattiche, non complicatissime ma sufficientemente stimolanti, anche perché ciascuna razza è più vulnerabile agli attacchi di un’altra e ne domina invece una terza: Chaots sui Vitals sui Kinets sui Chaots.
Procurato il materiale potete risolvere il puzzle, tornando casomai nell’arena per procurarvene altro se necessario, e una volta ricostruita la geografia corretta della scheggia affrontare un ultimo combattimento contro il cattivone finale.
Talvolta, infine, il sistema vi propone “missioni” slegate dalla trama principale, che permettono di visitare ulteriori schegge legate a ricompense particolari: un mostro nuovo, un bottino di etere o altro.
Tutto qui?
Forse si. Ed è questo che mi sembra meritevole di discussione.
Difetti reali e potenziali
Un primo difetto, fastidiosissimo, è che non si può ricominciare una partita a meno che non disinstalliate il gioco e lo reinstalliate, e non si possono nemmeno salvare posizioni intermedie. Per esempio io all’inizio ho usato come materiale di fonderia creature che mi sarei dovuto conservare, me ne sono accorto molto dopo e adesso non ho modo di rimediare se non ricominciando da capo: considerato che non c’è tutorial né un manuale scaricato è una roba piuttosto fastidiosa. Allo stesso modo non ci sono “scenari” o altri modi di provare contemporaneamente soluzioni diverse (non ho controllato se ci sono espansioni del gioco vendute a parte, ma immagino di si).
Poi c’è tutto un campo di difetti potenziali legate alla caratteristica freemium del gioco. Lo si può cioè scaricare gratis ma poi, volendo, si può “pagare per vincere”: comprandosi creature molto potenti, piogge di meteoriti per facilitare le battaglie, scorte di etere e altro.
Io sono uno di quelli che per principio non paga mai, perché temo che altrimenti finisco su una brutta china. Tipo: l’altro giorno ho incontrato uno che chiedeva l’elemosina davanti alla chiesa, e l’ho riconosciuto: «Ma tu sei Temistocle?! Che ti è successo? Avevi un buon lavoro, una bella famiglia…». «Eh, sapessi: giocavo a Etherlords, non riuscivo a sconfiggere il Saltimbocca della Terra di Mezzo e ho cominciato a comprare bustine per procurarmi il Ciccione Tuonante della Barriera Oscura e guarda, adesso, come sono finito…».
Nonostante non paghi mai sono, sinora, riuscito ad andare avanti abbastanza tranquillamente, anche se a partire dal terzo gruppo di schegge le cose si sono fatte abbastanza lente: per procurarmi l’etere necessario ho dovuto rigiocare più e più volte le schegge che ho già risolto (in gergo, scopro, si dice grinding, “macinare”), per accumulare le risorse necessarie per i quadri successivi. Mi sembra tutto accuratamente programmato per sfibrarti senza bloccarti, in modo che alla fine tu per pura noia paghi per avere le scorciatoie. Ho anche notato che una volta non ho giocato per tre giorni e alla riconnessione successiva ho subito casualmente trovato una creatura rara che mi ha consentito di superare agevolmente le successive schegge: mi sono chiesto se il gioco non sia programmato per fornire “esche” del genere per fidelizzare i giocatori.
Ma soprattutto, Etherlords è estremamente ripetitivo. Non è solo la struttura base arena-enigma-arena-enigma-cattivone finale, ad esserlo: ho detto che c’è una dimensione tattica non del tutto trascurabile, ma è anche vero che un giocatore si fa le sue due-tre composizioni base del terzetto di campioni e su quelle gioca: io sono andato avanti a lungo poggiandomi sulla creatura rara che avevo, e adesso ne ho un’altra sulla quale baso il mio gioco. Non siamo certo dalle parti di Waterloo, insomma.
Eppure, devo dire che sto giocando parecchio a Etherlords, e che mi ha preso non poco. Quindi vuol dire che il gioco, nonostante i difetti, funziona.
Considerazioni e dubbi finali
Mi dice qualche amico che ha spostato la sua esperienza ludica quasi del tutto sul tablet.
Non sono un grande esperto di app, quindi non sono sicuro di cosa offra il mercato, ma la cosa un po’ mi sorprende, perché temo che Etherlords sia rappresentativo del livello medio dei giochi disponibili per il comune mortale (escludendo cioè quelli che richiedono che tu stia connesso tutto il giorno e assuma un cinese per badare al tuo regno quando vai in campagna per il fine settimana). Siamo davvero lontani dalla complessità e dal livello di soddisfazione offerto dai giochi per PC da una parte e da quelli per console dall’altra.
E d’altra parte l’esperienza con Etherlords mi suggerisce che non mi devo stupire: perché se ha intrigato me vuol dire che può risultare interessante per tanti altri.
Il problema, casomai è chiedersi perché. Certamente l’ambientazione, per quanto non originalissima, è carina, la varietà dei mostri pensata abbastanza con cura e la grafica senz’altro buona: immagino che su uno schermo più grande del mio, oltretutto, sia anche più suggestiva.
Ma soprattutto mi sono sorpreso a pensare una cosa che non avevo mai capito (ben arrivato, Roberto), e cioè che è esattamente la rozzezza intrinseca del gioco a renderlo irresistibile nel riempire con contenuti ludici quei momenti nei quali ci si rivolge al proprio cellulare: l’autobus, la metro, i momenti morti, le attese, gli intermezzi della giornata, gli attimi nei quali non vuoi pensare a niente.
Un’offerta ludica di questo genere deve essere semplice, ripetitiva, perfino un po’ ipnotica (come sono i combattimenti nell’arena, per i quali ti viene spontaneo cliccare su restart quando non passi il livello). Giochi più complessi non si inseriscono bene in questo tipo di interstizi della giornata (Farmville per esempio invece si, e infatti ha sfondato). È in questo senso che l’operazione di trasferimento di piattaforma di Etherlords è interessante: perché i vecchi giochi per PC, che dovevano spesso essere semplici per venire incontro ai limiti dell’hardware del tempo, sono una miniera abbondantissima dalla quale trarre materiali da riciclare su smartphone e tablet;: quei giochi vanno bene su questa nuova piattaforma non perché questo nuovo hardware abbia gli stessi limiti del vecchio, ma perché i vincoli all’attenzione e all’engagement del giocatore su smartphone spingono a privilegiare giochi con meccaniche “fondamentali”, come erano quelli.
D’altra parte, più volte mentre gioco a Etherlords la noia mi prende alla gola, e mi chiedo: «Tutto qui?».
Poi mi viene la voglia di vedere se finalmente questa volta riesco a battere l’Alce Amniotico di Shannara e riprovo a risolvere per la milionesima volta la maledetta scheggia. Ma divago.
«Tutto qui?».
Si, ed è alla fine un po’ poco. Immagino che fra qualche giorno la mia curva di attenzione comincerà a calare e che finirò per tornare agli scacchi o a qualche altra applicazione più consueta. Perché ho l’impressione che, nonostante le opportunità che questo lavoro di riciclo di vecchi materiali offre, il mondo del gioco su app sia ancora un po’ in fase infantile, e che se Etherlords è rappresentativo di un gioco che oggi “sfonda” (almeno relativamente) allora vuol dire c’è ancora molto spazio per crescere e migliorare, e che probabilmente, con buona pace del mio amato Angry Birds e di altri successi, il “gioco definitivo” per questo settore ancora deve arrivare.
Ah no, scusate.
Dimenticavo.
C’è già.
Si chiama Facebook.
Da come lo descrivi, sembra molto diverso dal vecchio Etherlords per pc – che era comunque molto ripetitivo.
E sì, è abbastanza rappresentativo dei giochini “free to play” per Android e compagnia: la mia esperienza l’ho fatta con Plant vs Zombies 2, il primo era un gioiellino (ma era un gioco normale per pc, non so come sia stato trasposto su Android) mentre il secondo, a fronte di idee demenziali il giusto, diventa rapidamente una ribollita di concetti con un aumento di difficoltà fatto apposta per spingerti a spendere soldi reali e superare più in fretta quadri che normalmente richiederebbero più tentativi per capire qual è l’unica strategia valida.
E insomma, a me i giochi-uroboro che si annodino su se stessi offrendo soprattutto un elevato livello di deja vu annoiano presto 😛 ed è così che in pochi mesi ho abbandonato questo tipo di free to play 🙂
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