Da PornHub alla Sardegna
Immagino che la maggior parte di coloro che leggono il blog sappia che è in corso una polemica, che comprende anche la minaccia di azioni legali, fra il Consorzio del Parmigiano Reggiano e il sito porno PornHub (si sa che la globalizzazione crea strani miscugli).
Il sito sta lanciando un nuovo canale a pagamento (premium) e per promuoverlo mette in scena in uno spot una coppia di americani che fanno la spesa. Il marito propone di comprare del parmigiano stagionato (si menziona esplicitamente Parmigiano Reggiano, cioè il nome sotto tutela, il marchio di proprietà dei produttori). Quando la moglie replica, incerta, lui le dice per convincerla che dopotutto si tratta del PornHub Premium dei formaggi. Un’eccellenza, come il nostro nuovo canale a pagamento.
Quindi niente di porno, nello spot, né di volgare: solo la menzione molto precisa del nome del prodotto.
Ci sono in giro sulla rete una serie di commenti, guidati in particolare da Wired (un altro articolo anche qui, quasi una campagna, direi) che si stupiscono del fatto che al Consorzio si siano arrabbiati, fino al punto da minacciare azioni legali. L’idea è che siccome PornHub è un sito importantissimo (leggo da qualche parte che sia il quarantesimo sito più visualizzato al mondo) allora al Consorzio avrebbero dovuto ringraziare dell’occasione offerta e anzi magari attrezzarsi per sfruttare l’opportunità. Invece si sarebbero comportati da provinciali, diciamolo, un po’ retrivi per avere invece minacciato azioni legali e preteso che lo spot venisse ritirato per violazione dei diritti di copyright.
Temo che un po’ di provincialismo, o di inconscio senso di inferiorità, sia presente in realtà anche nelle critiche al Consorzio: una controprova, per esempio, è il fatto che dando un’occhiata ai siti di informazioni anglosassoni la polemica è trattata fra le notizie di colore ma in maniera piuttosto equanime (Fortune, peraltro, è esplicitamente dalla parte del Consorzio).
Il “nome” Parmigiano-Reggiano è un “marchio”, e tutti dovrebbero sapere che in un’epoca come la nostra il possesso e il controllo del marchio sono una ricchezza per l’azienda tanto quanto (e forse più) degli impianti, del sapere produttivo e del magazzino: e l’uso non autorizzato del tuo marchio dovrebbe essere sempre guardato con lo stesso sospetto col quale si considera uno che senza autorizzazione ti entra in magazzino, comincia a caricarsi merce su un furgone e quando gli chiedi cosa sta facendo ti dice che intende esporla in un negozio altolocato in centro a Milano e che quindi dovresti assolutamente ringraziarlo.
È verissimo che in tempi di social non è pensabile di controllare del tutto il proprio brand e che ci siano molte situazioni in cui si deve fare buon viso a cattivo gioco, o meglio: si deve cercare di mantenere il controllo del brand più orientando i flussi comunicativi che dirigendoli, ma questo non vuol dire che si debba abdicare alla proprietà del marchio – ciò che è tuo è tuo e non di nessun altro, e le grandi aziende hanno uffici legali e di marketing apposta per pestare le manine alle altre aziende che se ne dimenticano (o fanno finta di dimenticarsene). Ci sono al mondo molte operazioni di co-branding, cioè di due aziende che si pubblicizzano a vicenda, ma comportano complicati accordi legali, transizioni finanziarie ben definite e un accordo preliminare sulla desiderabilità di accoppiare i propri prodotti: proprio perché esiste il co-branding come pratica riconosciuta, quello di PornHub, che non ha chiesto nessuna autorizzazione al Consorzio, è un errore e muoversi per farlo rettificare non è provincialismo, miopia, perbenismo, autocelebrazione o vari altri fra i termini usati dai blogger di Wired: è semplice gestione corretta dei propri marchi.
Se poi quelli del Consorzio ritengono che PornHub sia volgare sono fatti loro (a parte che magari hanno pure ragione) e non è su questo che dovrebbero essere misurate le loro pratiche commerciali, a meno che non ci sia in tutta l’ondata di commenti critici anche un qualche impulso nascosto allo sdoganamento del porno.
E, mi direte, cosa c’entra la Sardegna?
Ripenso al post che ho pubblicato venerdì. Anche lì si faceva riferimento al ragionamento per il quale non importa come si parla di una cosa (nel caso specifico: la Sardegna, la sua storia, le sue tradizioni, la sua realtà) ma se chi ne parla è sufficientemente importante si deve essere lieti semplicemente che veicoli la nostra immagine, qualunque cosa dica. Se considerassimo la Sardegna come un brand del quale vogliamo come comunità avere il pieno controllo – esattamente come il Consorzio del Parmigiano Reggiano pretende il controllo del proprio brand – certi ragionamenti non verrebbero nemmeno formulati, non parliamo di esprimerli.
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