Fuenteovejuna
La prima volta che ho sentito parlare di Fuenteovejuna è stato intorno ai tredici anni, quando ho letto la Garzantina sul teatro che stava a casa dei miei nonni e di Enrica. L’idea dei paesani che sotto tortura indicano tutti come colpevole il nome generico Fuenteovejuna colpì molto la mia fantasia di adolescente romantico. Poi ho avuto la fortuna di vedere Fuenteovejuna (con Elisabetta Arca, credo) in un bell’adattamento di una compagnia spagnola (in lingua originale, oltretutto) al teatro romano di Nora: mi fece una grandissima impressione e da allora sono tornato più volte sul testo.
Di tutta questa passione non credo di essere riuscito a trasfondere più di tanto durante la puntata (e non ho accennato per nulla alla interessantissima vita personale di Lope), anche se credo che la trasmissione sia riuscita decentemente – tocca comunque a voi dirlo.
Fuenteovejuna – Félix Lope de Vega y Carpio
Per chi avesse dei dubbi: sì, volevo dare una lettura politica del dramma. E sì, avevo in mente la TAV e la terra dei fuochi. Sto sfruttando qui il privilegio del critico dilettante, che può dire quel che vuole: ma mi pare che in Fuenteovejuna Lope esplori, con precisione chirurgica, i confini e i punti forti dell’eterno conflitto fra potere centrale da una parte e tensioni comunitarie dall’altra; una esplorazione che diventa lezione di realismo politico e che sarei davvero curioso di capire come venisse accolta dal suo pubblico di cortigiani, di nobili e di uomini politici. In questo senso c’è una curiosa inversione di ruoli fra il Machiavelli della Mandragola della puntata precedente e il Lope di questa: come se lo scienziato politico e il teatrante si fossero momentaneamente scambiati i ruoli e, a parte la relativa vicinanza cronologica, è anche per questo che ho voluto accostare queste due opere.
Meno sicuro sono di quanto ho detto della volontà di tradire sistematicamente le attese del pubblico posponendo continuamente l’atteso lieto fine e invece aggravando la tensione drammatica. È un’operazione che Lope conduce con molta eleganza (da vero mostro di naturalezza come diceva Cervantes) e che evidentemente lavora su archetipi narrativi fondamentali (la ragazza in pericolo, il giovane eroe, l’eroe che perdona il nemico, gli sgherri…) ma che probabilmente il lettore moderno riconosce con maggiore immediatezza perché cresciuto magari a pane e telefilm: nella Spagna barocca, come è noto, i serial non c’erano e anche il pane poteva riservare brutte sorprese.
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