Cittadini normali
Ieri di mattina abbastanza presto ero sul trenino che porta da Fiumicino a Termini. Mi ero alzato alle quattro e quindi mi ero appisolato: mi ha svegliato l’arrivo del controllore (una ragazza) che entrava nel vagone.
Solo che poi non arrivava mai.
Mi devo essere riappisolato di nuovo perché solo dopo un attimo ho realizzato di avere il biglietto ancora inutilmente in mano: la ragazza si era fermata a discutere con due uomini, un paio di sedili più avanti.
«… e lei capisce che non posso fare favoritismi, mi devo comportare con tutti allo stesso modo».
Allora i due, uno giovane, vestito molto sportivo, jeans, scarpe da ginnastica, bomber, l’altro più anziano, corpulento, con l’abito e il cappotto, devono avere proposto di scendere alla prima fermata, perché lei ha replicato che, purtroppo, il treno faceva un’unica tratta no stop fino alla stazione.
I due hanno molto insistito, dicendo in breve di essere poliziotti e di essere stati autorizzati dai colleghi ferrovieri a terra a salire sul treno senza biglietto – in realtà uno solo, quello corpulento e ben vestito. Si sono anche spinti a lamentarsi della disorganizzazione di «voi ferrovieri» finché quella, pressata, ha accettato di chiamare il suo superiore.
Io ero sveglio, a quel punto, col mio bravo biglietto in mano. «Se non fosse una donna?», mi chiedevo. «Se capitasse a me, allo sportello?».
Il superiore in cinque secondi netti le ha detto di fare la sanzione. Poi deve averle chiesto qualcos’altro perché lei ha detto: «No, non sono della PolFer».
Allora lei gli ha ripetuto il suo mi dispiace, ma sono obbligata… di prima e mentre il più giovane attaccava di nuovo il proprio i suoi colleghi… l’altro ha alzato un pollice, imperioso, indicando il retro dello scompartimento. Il più giovane si è alzato, deferente, e lui ha chiesto alla capotreno di poter parlare lui direttamente col suo superiore, dietro, con un’altra telefonata dalla pensilina centrale.
Mentre mi passavano a fianco io gli ho detto: «Mappperfavore, a un cittadino normale tutto questo non viene concesso, insomma!», col mio biglietto in mano e il mio sonno che attendeva.
Che mi sono fatto paura, ascoltandomi, che mi sono sembrato mia madre, l’Inossidabile. Cinque secondi di grillismo, mi sono partiti.
La conversazione fra il poliziotto distinto e l’ufficio centrale non si è sentita, ma l’esito era facile da capire, dopo, dal tono della ragazza finalmente aggressivo: «E però, se lei non me lo dice che è della PolFer, io che devo fare?! Io non lo so, scusi, me lo poteva pure dire: è evidente che se non me lo dice io mi devo comportare in altro modo».
A occhio in tutta la vicenda non è mai saltato fuori un tesserino.
Il tizio si è rimesso al posto, la capotreno mi ha timbrato finalmente il biglietto. Due sedili più avanti sentivo quello che brontolava col collega: «Un cittadino normale… un cittadino normale…».
Mah, mi sono detto. Se sei là per cause di servizio puoi anche farti mettere la sanzione, e poi te la fai togliere quando lo dimostri con calma all’ufficio centrale. E che cause di servizio ci possono essere per viaggiare da Fiumicino a Termini e non esserti preorganizzato? E se sono cause di servizio come mai eri disposto a scendere a una fermata intermedia?
«Un cittadino normale… un cittadino normale…», continuava.
Potevo dirgli tutte ‘ste cose. Invece: «Ci manca solo che adesso mi rompano le palle», ho pensato.
Eravamo quasi a Roma. Mi sono alzato, sono andato nella carrozza di punta e sono sceso subito.
Meglio non dare l’occasione.
Dopotutto sono solo un cittadino normale.