L’ipocrita bigotto
Tartufo – Molière
Non è male la puntata su Molière, secondo me; non dovrebbe essere l’autore a lodarsi, ovviamente, ma mi sembra che sia una puntata equilibrata nella quale sono riuscito a dare forse qualche motivo per affrontare una rilettura – o una lettura per la prima volta – di questo classico del teatro europeo: questi del teatro seicentesco non sono davvero testi facili (e spesso neanche facili da trovare) ma il Tartufo è abbastanza lineare da non essere difficile da seguire, esistono buone traduzioni recenti in un italiano contemporaneo e presenta inoltre, come ho detto in trasmissione, una serie di somiglianze con l’attualità che lo rendono ancora più interessante.
Se proprio devo dire quelle che mi sembrano le mancanze, la più evidente è il non essermi soffermato abbastanza sulla naturalità di Molière, della quale si parla spesso ma che forse non si spiega poi tanto. Una naturalità che, oltretutto, doveva essere evidente per il pubblico contemporaneo che disponeva di immediati raffronti nella comédie italienne, ma che forse per noi è molto meno evidente. Uno dei punti di forza di Molière, ovviamente, è la capacità di costruire un cast complesso e di attorniare i protagonisti con figure di contorno che non sono puramente ornamentali ma che rappresentano altrettante possibilità narrative che l’autore non esplora fino in fondo in favore della trama principale; esse sono però ben presenti alla periferia della consapevolezza del lettore/spettatore; vale qui per le figure di Cleante, della signora Peronella e di Dorina, che danno spessore e al contesto e alla trama principale.
L’altro elemento che poteva essere approfondito, anche in rapporto all’attualità, è il contrasto fra rigorismo religioso fine a se stesso e autenticità, o meglio fra bigottismo e ragionevolezza, e il modo con il quale può essere usata l’accusa di essere fondamentalisti o tradizionalisti per svalutare posizioni religiose semplicemente controcorrente. Una certa ambiguità nella commedia c’è e poteva essere maggiormente esplorata, anche se naturalmente Tartufo è davvero un falso devoto.
L’ultimo elemento che poteva essere approfondito è il confronto fra tempi teatrali e tempi di lettura, un argomento al quale ho accennato qualche volta in questo ciclo di trasmissioni e che ilTartufo permetteva di riprendere. La commedia, infatti, pur se di cinque atti non è lunga da leggere. Contiene però tutta una serie di situazioni – il momento nel quale Dorina difende Marianna, per esempio, o la scena di Orgon sotto il tavolo – nelle quali è evidente che i tempi teatrali devono dilatarsi rispetto alla lettura e affidarsi a una fisicità insistita che genera evidentemente un effetto comico che sulla pagina è solo suggerito. Fra tutti i testi che mi sono capitati quest’anno il Tartufo è uno degli esempi migliori di testo che va letto sui due livelli: uno che si concentra sulla parola e uno che visualizza la scena sul palcoscenico e si apre alla supposizione di come attori e registi traducano l’effetto che il testo suggerisce; certo il Tartufo non è assolutamente un testo che possa essere ripreso in una commedia da salotto (intendo il closet drama, per capirci), un genere che pure, per esempio nella tragedia, i contemporanei di Molière dovevano conoscere bene.
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