Marchingegni narrativi lasciati in giro
Ho letto da poco la Trilogia del Graal di Bernard Cornwell (io l’ho letta in inglese, metto qui a corredo dell’articolo le copertine delle edizioni italiane dei romanzi). Mentre la leggevo la stessa operazione la stava facendo il mio compagno Fabbricastorie Andrea Assorgia, e questo ha dato lo spunto per una piccola differenza di opinioni.
Sostiene Asso, infatti, che Cornwell si appoggia frequentemente alla tecnica dell’elastico di cui ho parlato tempo fa a proposito di John Sandford: crea una situazione, la risolve e nella soluzione pone già le premesse del prossimo sviluppo della trama, la cui soluzione pone le nuove premesse, e così via.
A me pare piuttosto che in questo caso, che non è una delle migliori prove di Cornwell, la tecnica sia piuttosto quella che chiameremo del distratto previdente.
Funziona così: Cornwell pensa che potrebbe sempre avere voglia, in futuro, di fare qualcosa. Che so, piantare un chiodo in casa, qualcosa del genere. E sa di essere distratto. E quindi che fa? Lascia martelli in giro per la casa. Ovunque. Così se una volta o l’altra ha bisogno di piantare il chiodo non deve stressarsi particolarmente: gli basta girarsi appena intorno e zac!, ecco a portata di mano quello che gli serve. Deve bere un bicchier d’acqua? Ma ci sono rubinetti in ogni metro quadro di parete! Dev’essere una casa che può apparire bizzarra ai visitatori, ma per lui è comodissima: ha sempre tutto a portata di mano a prezzo, magari, di un certo ingombro.
Per i libri è lo stesso: se Sandford lavora in maniera lineare, costruendo ogni volta le premesse che gli servono, Cornwell può andare giro giro, sicuro che tanto, al momento buono, un qualche marchingegno narrativo utile per far avanzare la trama o risolvere una situazione si trova lì, bello pronto: vendette, faide, amori contrastati, traditori, oggetti (semi)magici, offese all’onore, desiderio di ricchezze, eredità contese, titoli nobiliari da attribuire, belle donne: l’autore non perde l’occasione per appoggiare qualcuna di queste cose in qualunque superficie libera (cioè: episodio della trama) gli capiti a tiro, sicuro che prima o poi tornerà buona. Al contrario di Sandford, Cornwell procede per accumulo: in un certo senso con uno parliamo di linee e con l’altro di volumi.
Vi avviso: sto per rivelare alcune cose della trama. Facciamo un esempio: all’inizio del primo romanzo Thomas Hookton, il protagonista, è con gli arcieri inglesi che assediano la cittadina di La Roche-Derrien. Sulle mura una giovane e bella gentildonna contribuisce a respingere gli assedianti con la sua balestra infallibile. È chiaro che il lettore accorto di romanzi avventurosi percepisce la possibilità di una tensione sentimentale fra eroe e gentildonna: sono nemici, giovani e belli – come finirà fra loro? Ci sarà il solito seguito di odio, apprezzamento, crisi e soddisfazione finale? Oppure lei farà una brutta fine?
Sono tutte domande che attengono al rapporto fra i due, e che ragionando in questo modo permetterebbero al massimo l’inserimento di pochi personaggi di contorno: il rivale o la rivale, il confidente… e di alcune situazioni tipiche: il rapimento di lei, per esempio, oppure il tradimento di uno dei due, la scoperta di elementi nascosti della personalità…
Ma questo tipo di relazione a Cornwell non interessa. Jeannette non è solo una gentildonna – e balestriera – è anche la Contessa vedova di Armorica, impegnata in una contesa per garantire al figlio infante l’eredità del marito, è non semplicemente bella ma raffinata e aristocratica, è concupita da un cavaliere inglese che è anche il rivale di Thomas per altri motivi ed è oltretutto civetta e più interessata ad avere ricchi nobili che poveri arcieri inglesi come amanti. E per di più ha anche un segretario che la deruba e che è una spia dei francesi. Come vedete, c’è materiale per intere librerie, e stiamo parlando, tutto sommato, di un elemento accessorio della trama: Jeannette non rappresenta tanto una coprotagonista, l’interesse amoroso di Thomas, quanto un meccanismo di innesco ambulante di sviluppi della trama: vuoi far lasciare la Roche-Derrien a Thomas? C’è lei. Vuoi riportare Thomas fra gli inglesi? Pronta. Vuoi farlo catturare? Eccola. E, come lei, c’è un’infinità di altri marchingegni belli pronti, lasciati lì in giro casomai servissero: uno, il più importante di tutti, è continuamente sotto gli occhi del lettore ma viene rivelato alla fine: sono pronto a scommettere che quando l’ha inserito Cornwell non pensava di farne il Graal, ma poi gli è sembrato così bello che non ha potuto resistere all’idea di servirsene.
Non vorrei dare l’impressione, con questo discorso, di sminuire l’abilità di Cornwell: anche se la trilogia non è una prova straordinaria e qualche volta questo accumulo di marchingegni narrativi genera un misto di irritazione e di sbigottimento, lavorare in questo modo non è da tutti. Può sembrare, forse, che tutto sia fatto senza pensarci, senza alcuno sforzo apparente: eppure non è così perché richiede un controllo piuttosto forte del materiale narrativo che hai inserito nel racconto; per il lettore, dopo, certi sviluppi possono sembrare logici, ma l’autore invece ha dovuto, prima, rendersi conto che poteva fare il collegamento fra la sua esigenza narrativa e il meccanismo che aveva creato, individuare il modo concreto di tendere un filo da una all’altra situazione, e poi arrivato lì trovare, fra tutto il materiale accumulato, quel che serve per fare il prossimo passo. In alcuni casi può sembrare fortunato, come nel caso dell’oggetto distrattamente menzionato nel primo libro che ricompare brevemente nel secondo e poi si rivela l’oggetto fondamentale che risolve in maniera soddisfacente la trama: ma menzionare per caso un elemento che a due libri di distanza ti risolve l’impiccio nel quale ti sei ficcato non è puramente fortuna, è talento (un po’ anche mestiere, d’accordo, ma soprattutto talento).
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