Povera donna
Non so se ricordate Nikita Klæstrup, la giovane attivista politica danese di cui ho parlato un paio di anni fa.
Questa.
Seguo Nikita su Instagram dall’epoca dell’articolo, anche se raramente la vedo comparire nel mio feed. Questa volta l’ho vista e ho realizzato che il dubbio dell’articolo originale – se la tua strategia di scalata sociale è renderti merce (in questo caso, merce-immagine) è difficile che tu riesca a vincere – era del tutto giustificato.
Intendiamoci: non è che alla Klæstrup vadano male le cose: vedo su Instagram comparsate in abito da sera alle prime dei film, vacanze a Dubai e pranzi in ristoranti esclusivi. E un rispettabile paio di centinaia di migliaia di seguaci. Però la sensazione è che in fondo non sia mai uscita dalla posizione di famosetta e, soprattutto, che debba sempre alzare un po’ l’asticella: ci sono migliaia di modelline su Instagram che si spogliano probabilmente più di lei – ma loro hanno un profilo da modelle. E la combinazione di asticella da alzare e centimetri da scoprire da una parte e caratterizzazione del personaggio come icona glamour dall’altra rischia di essere una specie di circolo vizioso se il tuo obiettivo non è quello puramente di vendere la tua immagine (un campo nel quale probabilmente migliaia delle suddette modelline hanno doti e capacità migliori) ma quello di dire una parola sul mondo: dopotutto la Klaestrup ha iniziato come esponente politica.
Infatti ormai l’obiettivo non è più quello e non lo può essere. Vedo che Nikita quest’anno si è unita a un collettivo femminista, Girl Squad, e ha tenuto con le due colleghe una trasmissione radiofonica. Questo è il look del gruppo:
Non è molto diverso da un certo tipo di stile delle Femen, e come quello è parecchio criticabile proprio da punto di vista della chiarezza ideologica: c’è una certa differenza fra reclamare il diritto a gestire la propria immagine come si vuole, anche se fosse contraria alla morale dominante, e l’adottare l’immagine che gli altri vogliono per noi, anche se contraria alla morale (apparentemente) dominante; il valore dell’autodeterminazione non è essere contrari alla morale (apparentemente) dominante, ma il poter scegliere. E rivendicare la possibilità di lasciarsi asservire al piacere dell’uomo che guarda non è equivalente al rivendicare la possibilità di non essere asservite. Non lo dico io: la trasmissione ha avuto risonanza in Danimarca, anche perché riciclava temi presenti nel dibattito femminista mondiale, finché una delle due compagne di Nikita ha lasciato il gruppo per una qualche forma di dissenso artistico e politico. Facendo un bilancio dell’esperienza l’altra collega ha commentato:
Penso che le persone si ricorderanno di noi come un gruppo volgare di tre donne che hanno usato la loro sessualità per promuoversi.
Ecco, appunto.