Fortunato
Stamattina, mente andavo in ufficio, mi ha chiamato un’amica per farmi gli auguri.
Dopo aver messo giù pensavo: «Vedi, mi ha chiamato di persona, vuol dire che ci tiene…», con un po’ di sorpresa perché, pensavo, «io a lei che gli ho mai fatto?».
Nel senso, siamo stati colleghi per alcuni anni in ufficio e in più ci vediamo spesso, mai io non è che ho dei meriti nei suoi confronti, ecco, e anzi la prendo in giro ferocemente ogni volta che ne ho occasione. In un certo senso non me li merito, gli auguri.
Oh, è chiaro che l’amicizia non è cosa di partita doppia, tot dare e tot avere, e stiamo parlando di un’amica carissima, ma credo che ci siamo capiti: «Sono proprio fortunato», ho pensato, «che c’è gente che mi vuole bene anche se non me lo merito».
Bonaria in primis, che mi ama addirittura.
Ragazzo fortunato.
Colonna sonora omaggio, per dimostrare che il corso accelerato sul jazz non è passato invano, Clifford Brown You are a lucky guy. Non ci sono le parole, che farebbero:
You’re a lucky guy when you consider
The highest bidder can’t buy
The gleam in your eyes
You’re a lucky guy
Thank you lucky stars
You’ve got a honey who wants no money
She’ll take you just as you are
Thank you lucky stars
Hey fellow, say fellow
Don’t you realize it’s fated, you rated
Open up your eyesYou’re lucky guy
You’re just beginning so have your inning
And let your troubles boom by
No one can deny you’re a lucky guy
Hey fellow,…
P.S. Che poi, è un pensiero corretto teologicamente: è Dio che ci ha amati per primo, e ci salva senza nostro merito. Come fanno i miei amici e le mie amiche con me.