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Quel che ho detto de Lo Hobbit

Ieri, giovedì 6 dicembre (e oggi in replica), è andata in onda la prima puntata di Oggi parliamo di libri. Nell’attesa del podcast, come promesso, pubblico quel che avevo scritto; in realtà ho cercato di non leggere, per non essere più noioso del necessario, ma chi non ha potuto ascoltare la puntata potrà farsi un’idea.

Salve a tutti e ben trovati sulle frequenze di Radio Kalaritana. Io mi chiamo Roberto Sedda e da oggi avrò il piacere di avere un appuntamento settimanale con voi per parlare di libri.

Ma… di quali libri parleremo in questa trasmissione? Dovete sapere che io sono un appassionato di letteratura fantastica, di fantascienza, di avventura, di gialli, di racconti di mare, di fumetti, e perciò è di questo che vi parlerò.

So bene che qualche volta non ci si fa una gran figura, all’età di quasi cinquant’anni, a confessare di leggere ancora queste cose, un po’, come dire? da ragazzini. Qualche volta nei nostri ambienti parrocchiali il fantastico, la fantascienza, sono guardati con un po’ di sospetto. Sono cose poco serie, che distraggono da argomenti più importanti.

Qualche altra volta capita invece un’altra cosa: ci sono libri notissimi, che nessuno si oserebbe mettere in discussione, ma che in realtà… quasi nessuno ha veramente letto. Magari stanno negli scaffali delle librerie di casa, magari tutti ne conosciamo la trama, pensiamo di conoscere la trama, ma averli letti, questo poi in realtà è un altro paio di maniche. Anche questi libri mi interessano, per queste trasmissioni.

Ecco, questi nostri appuntamenti li ho pensati come delle porte d’ingresso verso il mondo della fantasia, per chi vorrà farsi coinvolgere: per scoprire che in certa “roba da ragazzini” ci sono magari grandi ricchezze inesplorate anche per gli adulti, e per riscoprire, sotto una patina di polvere, la freschezza e la vivacità di libri che da troppo tempo abbiamo… imbalsamato.

Ora però questa introduzione si sta facendo troppo lunga, e quindi vi proporrei di cominciare con il libro di oggi. Per annunciarne il titolo mi avvalgo dell’aiuto di qualcuno di più importante di me.

(qui avrei messo l’inizio dell’audiolibro de Lo Hobbit in inglese con la voce di Rob Inglis, «And now, The Hobbit», ma all’ultimo momento l’inserto è saltato e il titolo del libro l’ho detto io, NdRufus)

Ecco, il titolo ci è stato annunciato dalla voce di Rob Inglis, un grande attore di teatro inglese. Quindi come avete sentito oggi vi presento Lo Hobbit, un classico dei classici della letteratura fantasy, di John Ronald Reuel Tolkien.

Ecco, credo che tutti sappiamo che Tolkien è noto soprattutto per Il Signore degli Anelli, ma io ho preferito presentarvi Lo Hobbit perché Il Signore degli Anelli è un volumone di oltre mille pagine e come introduzione al fantasy può risultare un po’ indigesto. Invece Lo Hobbit è molto più maneggevole e poi, diciamolo – qui i tolkieniani più devoti mi odieranno – è molto più divertente. Il Signore degli Anelli è molto più epico, ci sono dentro più cose, è certamente più completo, ma Lo Hobbit ha un tono, una leggerezza, che sono inimitabili, e come introduzione al fantasy è certamente migliore.

Di cosa parla Lo Hobbit? Beh, forse prima di tutto dobbiamo dire che cosa è uno “hobbit”. Tolkien nelle sue lettere li descrive così:

Una figura quasi umana, non una specie di coniglio “fatato” come alcuni dei miei recensori inglesi pensano: con un po’ di pancia e le gambe corte. Una faccia rotonda e gioviale; orecchie leggermente a punta […]; capelli corti e ricci (bruni): I piedi, dalla caviglia in giù, coperti di peli bruni. Vestiti: calzoni di velluto verde; panciotto rosso o giallo; giacchetta marrone o verde; bottoni dorati (o ottone); un cappuccio verde scuro con il mantello (appartenente ad uno gnomo). […] tre piedi o tre piedi e sei pollici di altezza, quindi circa un metro e dieci.

Qualche volta scherzando coi miei amici diciamo che in fondo in fondo gli hobbit sono come i sardi…

.. o forse i sardi assomigliano agli hobbit, chissà.

Infatti sono in po’ bassi di statura e tarchiatelli, ma a parte l’aspetto le somiglianze non si fermano qui: gli piace molto mangiare e bere, scambiarsi visite, farsi regali che poi devono essere immediatamente ricambiati, sono tutti imparentati fra loro e si interessano continuamente di tutti questi intrecci genealogici che ci sono fra loro, ecco: se voi avete una vecchia zia di paese che sa tutto delle parentele della vostra famiglia fino alla decima generazione, che sa sempre cosa è appropriato fare e come ci si deve comportare, che cucina benissimo e custodisce gelosamente ricette fantastiche… bene, vostra zia potrebbe avere un po’ di sangue hobbit nelle vene.

Scherzo, naturalmente. Il fatto è che in fondo Tolkien ha scelto di ambientare la sua fantasia in una Inghilterra agraria un po’ fatata, una società che ai suoi tempi era praticamente appena scomparsa, e quella società non è poi molto diversa dalla Sardegna rurale che noi abbiamo conosciuto fino a pochissimi decenni fa.

I suoi hobbit sono i contadini inglesi del ‘700, o meglio quel che un inglese della prima metà del ‘900 come Tolkien pensava che fossero i contadini inglesi del ‘700, e in fondo i contadini di tutte le epoche si assomigliano: è per questo che camminando per la Contea, la terra dove vivono gli hobbit, noi proviamo un vago senso di riconoscimento.

Ma cosa succede ne Lo Hobbit? Proviamo a leggere un piccolo pezzo…

(e qui ho letto – e un po’ riassunto – il brano dell’incontro di Bilbo con Gandalf)

Ecco, sarete d’accordo con me che non bisogna mai suscitare l’attenzione di uno stregone come Gandalf. Nel caso del povero Bilbo la sua affermazione così decisa di non voler vivere avventure, che sono cose per gente poco rispettabile, avrà in cambio un bello scherzetto: perché Gandalf farà credere a una banda di avventurieri che Bilbo non è il tranquillo gentiluomo di campagna che in realtà è, ma un astuto scassinatore, proprio la persona adatta per la pericolosissima missione che la banda ha in mente. Niente po’ po’ di meno che sottrarre il tesoro a un ferocissimo drago.

L’episodio del primo incontro di Bilbo con i gli avventurieri è abbastanza spassoso. Loro sono tutti dei nani: sono i nani della mitologia nordica, affini agli gnomi, scavatori e guerrieri e anche, nei racconti originali della mitologia vichinga, abbastanza inquietanti, come il nano dell’anello delle Valchirie, per capirci. Bilbo si sta per mettere a tavola per il tè delle cinque, quando bussano alla porta: va ad aprire e c’è uno dei nani. Allora Bilbo lo invita a mangiare con lui, e si sono appena seduti di nuovo che bussano alla porta di nuovo: un altro nano! E poi un altro e un altro ancora, e poi due, e tutti hanno fame e reclamano a gran voce roba da mangiar e e da bere. E il povero Bilbo è disperato… e alla fine arriva il Re dei nani in persona! E si mettono tranquillamente a discutere di rapinare un drago!

Il povero Bilbo si trova così proiettato, senza nemmeno sapere bene come, da un tranquillo tè pomeridiano alla pianificazione di una straordinaria avventura, senza che, oltretutto, gli sia consentito di dire minimamente la sua: perché appena prova a dire qualcosa i nani lo guardano con sospetto, e lui ha paura di dire che non è davvero uno scassinatore.

Lo Hobbit vive tutto di questo dualismo: un ometto tranquillo cacciato a forza dentro avventure più grandi di lui. Bilbo è un avventuriero riluttante che si lamenta continuamente delle scomodità, come per esempio avere dimenticato a casa i fazzoletti: perché un hobbit come si deve ha sempre con sé almeno una dozzina di fazzoletti in valigia.

In realtà però, man mano che la storia va avanti – adesso non voglio scoprire troppo le carte, ma qualcosa vi racconto – sarà proprio Bilbo a rivelarsi risolutivo e a togliere dai guai i nani più e più volte e a rappresentare anche la voce del buon senso, e anche della giustizia, diciamo così, in momenti molto difficili. Diavolo di un Gandalf! Ci aveva visto giusto: sotto una scorza poco attraente c’è in Bilbo molto più di quanto possa sembrare.

Sotto questo punto di vista non stupisce che Lo Hobbit abbia trovato un uso molto ampio nel campo dell’educazione: in fondo è un romanzo di formazione che, dentro la sua aria fantastica, propone il concetto positivo di una figura di brava persona capace di trionfare di fronte alle avversità, ritornando alla fine a casa (perché tutti i vagabondaggi devono avere una fine) più saggio e maturo di prima.

Aiuta anche il fatto che sia scritto in una lingua molto bella, semplice ed evocativa a un tempo; per entrambi questi motivi nel Regno Unito è considerata una delle letture migliori per ragazzi.

In realtà però secondo me il valore de Lo Hobbit non sta tanto in questo valore educativo, che comunque è un merito, ma nel fatto che si tratta di un libro che realizza un equilibrio meraviglioso.

Lo Hobbit si trova in un certo senso a un crocevia del fantasy: da una parte l’esperienza precedente di Lord Dunsany, che aveva scritto dei racconti fantastici che dovevano molto alle atmosfere romantiche, un po’ di derivazione ossianica, i miti celtici… e dall’altra il gusto della favola, apparentemente per ragazzi ma in realtà rivolta agli adulti, che era del Kipling delle Storie proprio così o del Peter Pan di Barrie. E nel frattempo oltre l’oceano, in America, cominciavano a comparire, sulle rivistine popolari personaggi come Conan o John Carter di Marte, il gusto dell’avventura allo stato puro. L’abilità di Tolkien è stata nello scrivere un racconto che prende molto sul serio, davvero sul serio il fantastico, usa i materiali celtici e nordici ma mantiene il tono semiserio e la levità della favola. Un equilibrio che ha del miracoloso.

E qui mi sono accorto che il tempo era finito e ho dovuto chiudere in gran fretta… di cosa avrei ancora voluto parlare?

Avrei voluto dire che questa estate mi sono trovato a raccontare Lo Hobbit, a memoria, a mia nipote di undici anni, e che mi sono accorto di come si presti alla oralità; quando l’ho detto ad amici veramente esperti di Tolkien mi hanno fatto notare che non c’è niente di strano, perché Lo Hobbit nasce in prima battuta dai racconti elaborati da Tolkien per i figli: ma l’esperienza del raccontare a voce – con tutte le sue pause, i suoi andirivieni, i sui ritorni, il bisogno di colmare in qualche modo i buchi della memoria – mi ha permesso di apprezzare la struttura interna del libro molto di più e di capirlo meglio, e me ne ha mostrato ancora di più i punti di forza.

E poi avrei detto che, fra tutte le porte verso il mondo della fantasia che intendo proporre, Lo Hobbit rappresenta quella della fantasy più favolistica, il gusto puro del racconto che prende e ti trascina via con sé. Invece il tempo era tiranno e mi sono concentrato più a dire di che meraviglioso – e secondo me irripetibile – punto di sintesi Lo Hobbit rappresenti fra diversi filoni del fantasy: un punto di equilibrio veramente miracoloso.

Un’altra cosa che non ho detto (e che cercherò di recuperare nella prossima puntata) era annunciare la prossima uscita del film: non credo comunque che anche senza la mia segnalazione possa passare inosservato… E volevo anche dire che Lo Hobbit è facilmente reperibile in molte biblioteche pubbliche di Cagliari e dintorni.

Infine, mi ero preparato a lasciare agli ascoltatori un indovinello della famosa sfida con Gollum, promettendo di rivelare la soluzione alla puntata successiva, e non ci sono riuscito: sarebbe stata una conclusione magistrale, accidenti!

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