Tempi e segnali
Vedo che la strage di Christchurch ha fatto aguzzare le orecchie a chi fa parte, in un modo o nell’altro, dell’ambiente ludico, e non avrebbe potuto essere altrimenti.
Tutte le stragi fanno impressione a chi abbia un minimo di umanità, ma qui erano evidenti tutta una serie di simbolismi che hanno a che fare con temi etici che attraversano spesso la comunità e che ne fanno sentire talvolta la maggioranza assediata dalla alt-right da una parte (che è abbastanza una novità assoluta) e contemporaneamente timorosa di strette censorie di vario tipo (che invece è una costante).
Ci sono state un po’ di riflessioni: ne segnalo due che mi sembrano interessanti e che mi sono arrivate da compagni diversi.
Andrea Assorgia mi ha segnalato un breve articolo di Massimo Mantellini, Quando l’assassino accende la GoPro, che mi pare meriti di essere letto. Il punto centrale segnato da Mantellini è quello dell’irruzione del tempo reale nel tempo virtuale:
Forse è tutto più complicato di così: l’irruzione delle nostre vite nel tempo reale è una costante comunicativa dei tempi, non una strategia da utilizzare in casi particolari. Le stories su Instagram, gli eventi live su Facebook non sono eccezioni ma gesti di una nuova per quanto criticabile umanità. Esistono come rappresentazione di sé e non dipendono da fatti più o meno rilevanti che ci accadono. Lo streaming della strage è un evento che – l’assassino lo sa – ha una sua intrinseca potenzialità di essere visto […] Il fatto è che ci scopriamo impotenti di fronte a tutto questo: l’assassino da una parte mostra con chiarezza immediata tutta la sua diversità da noi e questo certo un po’ ci tranquillizza, ma, dall’altra, i suoi gesti pubblici, la grammatica con la quale li racconta è la medesima che utilizziamo noi.
Credo che imparare a leggere la realtà come intreccio inestricabile di tempi diversi, reali e virtuali, sia un passo in avanti importante per tutti; credo però anche che Mantellini sottovaluti il modo col quale agendo su uno di questi tempi sia possibile manipolare gli altri. Il pezzo che vi ho citato era preceduto da questo:
Nelle prossime ore molti commenti si concentreranno sull’utilizzo strumentale della rete per comunicare simili azioni. Il manifesto alla Anders Breivik (73 pagine) messo su Scribd, il profilo twitter con le foto delle armi aperto appositamente, la diretta dell’evento su Facebook live, il video poi ripubblicato su Youtube. C’è una regia – scriveranno in molti – l’insieme di queste scelte identifica un chiaro progetto di comunicazione.
La tesi di Mantellini è insomma che concentrandosi sulla strumentalità si rischia di perdere di vista il fatto che c’è nell’evento una complessità che altrimenti non si coglie. Ha ragione, naturalmente, ma il secondo articolo che volevo segnalarvi (purtroppo in inglese) dimostra che la complessità è ancora maggiore e che la strumentalità si pone su un livello più alto ignorando il quale si rischia di fare esattamente il gioco dell’assassino, prendendo alla lettera quello che dichiara, quando invece ci sta tendendo delle esche avvelenate.
Francesco Rugerfred Sedda mi ha segnalato infatti Shitposting, Inspirational Terrorism, and the Christchurch Mosque Massacre (che più o meno si traduce con Cazzeggi on line, terrorismo come fonte di ispirazione e il massacro delle moschee di Christcurch) [lo shitposting è il postare larghe quantità di commenti consistenti in un misto di insulti, tesi aggressive, trollaggi e prese in giro, al fine di rendere tossica una discussione; secondo un’altra accezione, è fare lo stesso ma facendo i gradassi con gli amici in un gruppo riservato, per denigrare dei terzi; cazzeggio non è molto adeguato ma in italiano non c’è molto altro, NdRufus]. La tesi dell’autore è, sostanzialmente, che nel documento da lui postato on line – alla Breivik – il terrorista:
ripete una serie di luoghi comuni sul “genocidio dei bianchi” e afferma che la sua uccisione di decine di mussulmani dipende dal fatto che sono “invasori” che intendono soppiantare grazie alla loro prolificità la razza bianca. Tutti i dati che abbiamo suggeriscono che queste sono, più o meno, le credenza dello sparatore.
Ma questo manifesto è una trappola in se stesso, predisposta per i giornalisti che cercheranno un significato dietro questo crimine orrendo. C’è una verità, là dentro, p indizi importanti sulla radicalizzazione dello sparatore, ma è una verità sepolta sotto una grande quantità di, diciamo così in mancanza di una parola migliore, cazzeggio.
Cosa intende dire l’analista? Che il lettore modello di secondo livello del manifesto non sono i giornalisti o l’opinione pubblica ai quali ufficialmente è rivolto, ma sono i suoi sodali e in generale il pubblico che davvero gli interessa, cioè la gente per esempio del forum che frequentava, /pol/ board di 8chan (una fogna, sia detto fra parentesi). Questi sono in grado di decifrare i segnali veri – e quindi di ricevere ispirazione dall’attentato – mentre agli altri sono gettate in pasto esche avvelenate calcolate per generare reazioni censorie e in generale repressive, che aumentino la tensione sociale, radicalizzino lo scontro e alla fine portino a nuovi scontri e a quella guerra civile di riscossa bianca che il terrorista si augura.
Lo so che sembra difficile da capire e anche da credere, ma l’argomentazione dell’articolo è piuttosto cogente e quadra con la narrazione da cittadella assediata ma in fin dei conti molto più lucida e astuta di tutti gli altri che la alt-right ama raccontare a se stessa.
Facciamo un esempio? Quando il terrorista prima di iniziare la strage invita a sottoscrivere il canale YouTube di Pewdiepie, sa benissimo che lo YouTuber è nell’occhio del ciclone della sinistra americana, diciamo, radical chic, che lo ritiene un punto di riferimento per i suprematisti bianchi e non ne sopporta la ripetuta scorrettezza politica. Siccome altri sono gli idoli reali dei medesimi separatisti, l’invito più o meno ha questi significati:
- caricaturizza se stesso per caricaturizzare gli avversari politici: sono un suprematista bianco (vero) quindi per forza secondo voi devo essere un fan di Pewdiepie (non necessariamente); traduzione: io sono libero e voi avete i paraocchi, posso giocare con i vostri pregiudizi e farvi credere quello che voglio;
- stringe un legame culturale col suo pubblico, il quale coglie lo scherzo (aberrante, ça va san dire) e l’insulto politico e ne trae maggiore stima per l’attentatore (non solo fa l’attentato, ma semina anche falsi messaggi) e quindi maggior forza ispirativa;
- tende una trappola, nella speranza che qualcuno lo prenda sul serio, metta dentro Pewdiepie e butti via la chiave (cosa che, lo confesso, istintivamente mi sono augurato anch’io) confermando così il perbenismo censorio della sinistra e generando per reazione altre risposte violente.
Naturalmente, questo non vuol dire che una serie di figure politiche americane o internazionali citate nel manifesto dell’attentatore non stiano dentro un gioco delle parti: chi conosce le liturgie mediatiche abituali di queste occasioni sa perfettamente come distanziarsi dall’attentato continuando a mantenere le stesse posizioni politiche, più o meno coperte, e magari producendo reazioni calcolate per aumentare il livello della contrapposizione e dell’ira: in questo senso, probabilmente, nessuno è davvero innocente e la scelta di buttare via la chiave rimane un’opzione augurabile – se esercitata nei dovuti modi, non seguendo le trappole comunicative tese dall’avversario, cosa che anche in Italia dovremmo comprendere meglio, probabilmente.
C’è un ultimo paio di osservazioni che vorrei condividere. Mi sono letto i commenti dei frequentatori di 8chan: ora, sono da voltastomaco – quindi il sito andrebbe chiuso, punto – ma non è solo quello. Esprimono una dimensione di deumanizzazione al limite della (forse oltre la) malattia mentale: se uno dice che col riferimento a Pewdiepie l’attentatore l’ha fatto ridere, evidentemente gli manca il principio di realtà per il quale non coglie che poi ha ammazzato delle persone reali. L’autore non sta cazzeggiando sulla rete, sta sparando. Come si arriva alla deumanizzazione? Col cazzeggio, col lolz . A furia di cazzeggio – trollaggio, meme, discussioni fra fake, provocazioni fini a se stesse – la dimensione identitaria del gruppo diventa pervasiva, tutti quelli che la pensano diversamente diventano macchiette e da macchiette a bersagli il passo è (relativamente) breve. Ho trovato qui il senso di un fastidio per quegli amici – di sinistra, colti, cosmopoliti, che certo non sparerebbero mai a nessuno – la cui presenza sulla rete è pervasa di lolz, di commenti sarcastici anche sulle cose più serie: perché la mancanza di ancoraggio etico è la stessa, e la possibilità, inseguendo il lolz, di consentire, applaudire o favorire la morte di esseri umani reali relativamente alta – e voler prendere le distanze dalla retorica pomposa di questi tempi non è giustificazione sufficiente.
È una considerazione che avevo in parte già fatto quando ho raccontato la storia di Shia LaBeuf. Rispetto a quelle riflessioni colgo da questo articolo – sono grato a Francesco per avermelo segnalato – prima di tutto che lo scontro culturale con la alt-right ha necessità di livelli di sofisticazione culturale e comunicativa che finora non avevo colto del tutto. E poi che la logica comunicativa della sinistra è inefficace perché capovolta rispetto a quelle della alt-right: il situazionismo (i meme, le installazioni, il detournement, la presa in giro) ha senso se rivolta al proprio gruppo e, all’interno del proprio gruppo, se serve a costruire identità, formazione, pensiero condiviso (è, insomma , uno strumento nelle mani della leadership). Non ha invece alcun senso quando è rivolta all’avversario – al quale non fa né caldo né freddo – o al pubblico neutrale, nei cui confronti può fare più male che bene. Il suo luogo naturale non è Facebook, ma i gruppi amicali, le liste private di WhatsApp, oppure, appunto, i posti alla 4chan. La contrapposizione con l’avversario attiene, invece, non al mondo del tempo virtuale, per riprendere l’impostazione di Mantellini, ma al tempo del reale, richiede, lo dico con una tipica espressione nonviolenta così nonsembra che sto suggerendo di andare in giro a sparare, l’interposizione dei corpi. la destra questo l’ha capito benissimo.
Mi fanno notare che nell’ultimo paragrafo non si capisce niente. Quello che volevo dire è che la comunicazione dell’alt-right e in generale della destra segue questo schema concentrico: fra pari, nel gruppo interno, si usa il cazzeggio denigratorio nei confronti degli avversari che crea identità e coesione; al pubblico generale vengono rivolte proposte operative (faremo questo, faremo quello); nei confronti degli avversari non c’è comunicazione, ma interposizione fisica (in questo caso, ovviamente, criminale e assassina). A sinistra invece l’interposizione fisica è piuttosto sconosciuta (il che non vuol dire, ovviamente, che io mi auguri che si inizi a andare in giro a sparare); il detournement e l’ironia, che i situazionisti usavano per smascherare il potere e che oggi non funziona più, vengono rivolti al pubblico neutrale e all’interno vengono invece rivolte le elaborazioni operative (quando ci sono). Il modello dell’alt-right funziona meglio, mi pare.
Eppure è curioso. Mi pare che in passato fosse nello standard della SX “buttarla sul fisico”. Voglio dire, le manifestazioni di piazza sono da sempre più classiche a SX che a DX…
Vero, ma – fuori dal caso TAV – da quando è che una manifestazione di piazza viola uno spazio fisico avversario? Non parlo dei black bloc, parlo di forze istituzionali di sinistra, sindacati eccetera. Per esempio, adesso che i neofascisti vanno a celebrare la nascita del partito fascista, non c’è un movimento di massa volto a negargli la piazza fisicamente. Naturalmente, il discorso è scivoloso perché dall’interposizione dei corpi allo scontro fisico alla vera e propria violenza il passo è breve e molto rischioso, però almeno come riflessione il caso andrebbe esaminato. Se io fossi una forza di massa di sinistra, diciamo il PD o la CGIL o quel che vuoi, indirei una manifestazione nazionale a Prato per los tesso giorno, con l’obiettivo di portarci un milione di persone. Nota che l’interposizione dei corpi è cosa diversa, in generale, da mettersi là da soli e quando passa il ministro che non piace gridargli insulti, o andare in cinque al comizio di Berlusconi a fare testimonianza, che sono altre cose. Le forze di destra, soprattutto di estrema destra, questo ritegno a violare lo spazio fisico non ce l’hanno, come dimostrano quelli che vanno lì a leggere proclami alle assemblee avversarie eccetera.