Corruzione svizzero-africana
Ho visto ieri, all’interno della rassegna sui neo-colonialismi organizzata dal Laboratorio 28, il film senegalese Hyènes di Djibril Diop Mambety (ma la produzione è francese).
Il film è tratto dalla tragedia di Friedrich Dürrenmatt La visita della vecchia signora. Non avendola letta non posso giudicare dell’adattamento, che a occhio mi pare comunque piuttosto fedele. Sebbene lo spazio scenico vari continuamente e l’approccio sia senz’altro realistico (con pennellate surreali qui e là), il film mantiene fra le righe una strana impostazione teatrale che fa sempre pensare allo spettatore di non stare proprio proprio assistendo a una vicenda reale fatta di vere persone umane quanto a una storia popolata, beh, di personaggi, con un incedere dei fatti della vicenda per quadri successivi lievissimamente didascalici. L’effetto, anche per i citati momenti surreali, è lievemente straniante e tende a impedire l’immedesimazione dello spettatore nella vicenda: questa è un’opera che fa riflettere abbondantemente ma che emoziona molto meno.
Il villaggio svizzero dell’originale diventa un villaggio africano (propriamente un sobborgo di Dakar) che è stato prospero ma ora è in miseria. Nel villaggio torna dopo lunga assenza l’anziana Linguère Ramatou, partita dal villaggio giovanissima e in disgrazia ma ora più ricca della Banca Mondiale. Tutto il villaggio organizza grandi festeggiamenti d’accoglienza nella ingenua speranza che l’antica concittadina voglia ora beneficarli con almeno qualche regalia, ma Linguère ha altre idee per la testa: vuole saldare i vecchi conti e pretende che, per avere la somma enorme che è disposta a donare, gli abitanti si macchino di un delitto.
Il degradare del senso morale, della capacità di resistenza e della struttura stessa del tessuto sociale costituisce l’intero sviluppo della vicenda, man mano che anche i più indignati cedono alla seduzione della ricchezza o si piegano alla volontà collettiva. Simmetricamente procede il progressivo arricchimento di tutti gli abitanti del villaggio (a credito, poiché tutti scommettono sulla probabilità del delitto e si danno a una febbre consumistica sfrenata con l’idea di pagare solo dopo, quando Linguère avrà ottenuto ciò che vuole e verserà la somma promessa).
È un racconto che ha pietà solo per le due vittime-carnefici, Linguère e il suo antico seduttore-traditore. Tutti gli altri sono descritti con freddezza se non con aperto disprezzo: erano individualmente opportunisti miserabili quando erano poveri, lo sono ugualmente ora che hanno l’abbondanza. Ciò che cambia, ovviamente, è il delitto: avere scacciato Linguère è, formalmente, solo responsabilità di un amante fedifrago e di due falsi testimoni (e, magari, dell’ignavia dell’intero paese); nell’uccidere tutti sono attivamente responsabili.
Il film è del 1992: è evidente che all’epoca il tema dell’indebitamento estero era molto presente all’opinione pubblica africana, e la cosa è evidenziata anche da quel raffronto ripetuto con la Banca Mondiale. Vedendo il film oggi, però, il tema appare molto più universale e richiama tutte le situazioni nelle quali l’arricchimento presente viene barattato con un prezzo da scaricare su altri o sul futuro: viene in mente immediatamente la crisi ambientale o qualunque adozione di stili di vita insostenibili socialmente o moralmente.
Uno degli echi più forti dell’attualità è la progressiva distruzione della verità che emerge dai discorsi degli abitanti: si schermiscono, negano l’evidenza, si trincerano dietro bugie evidenti, enunciano addirittura un atto mentre platealmente compiono il contrario. I peggiori, in questo senso, sono le figure di autorità e i maggiorenti del paese, che mischiano alla menzogna blandizie demagogiche, captazioni di benevolenza dell’uditorio e pura e semplice propaganda e che, devo dire, evocano un buon numero di capipopolo recenti. Considerato che questo richiamo alla contemporaneità sgorga da un’opera che nella versione di Dürrenmatt è del 1955 e in questa trasposizione è di quasi trent’anni fa, sono andato via col dubbio: gli avventurieri populisti attuali, che sembrano continuamente citati dal film, ci sono sempre stati in tutte le epoche oppure il film ha capacità evocative che vanno al di là della scrittura dei suoi autori?
Bella domanda.
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