Giovedì gnocc… COVID
Uno dei motivi per i quali scrivo meno qui sul blog è che, inevitabilmente, dovrei parlare della sindemia: solo che non trovo le parole, ho paura di chi potrebbe venire a cercarmi, detesto le posizioni con le quali dovrei confrontarmi e in generale non ne ho voglia.
Il che non vuol dire che non legga, anzi, e quindi le segnalazioni di cose che reputo interessanti abbondano e mi sono ripromesso di riportarle qui: quindi oggi posto le più recenti, poi fino a giovedì prossimo passiamo ad altro.
Un po’ di storia
Grazie alla segnalazione di Fabrizio Chiodo, uno scienziato italiano che collabora con l’industria farmaceutica cubana e la sua produzione di vaccini, ho letto un interessante articolo sulle argomentazioni contro i vaccini proposte nel XIX secolo riguardo all’antivaiolosa. Devo dire che la sovrapposizione fra posizioni di centocinquant’anni fa e di adesso è notevole, con corrispondenze davvero esattissime e, anche ammettendo che The conversation abbia fatto una scelta molto mirata fra diverso materiale d’epoca, sembra confermata l’osservazione di Keynes che i deliri dell’oggi sono distillati dalle frenesie di qualche scribacchino morto e sepolto. E poi va notato che l’articolo è della seconda metà del 2020, e dice, testualmente: «Man mano che ci avviciniamo a una diffusione mondiale del vaccino contro il COVID-19, possiamo aspettarci di vedere una sempre maggiore quantità di argomentazioni di questo genere». Bisogna dire: profetici.
Commentando l’articolo Chiodo ha presentato la sua posizione pro-vaccini in un quadro tipicamente di sinistra: sanità pubblica, problematiche globali, antipatia per Big Pharma. L’idea è che i vaccini sono una misura di sanità pubblica alternativa a cure costose che solo i paesi ricchi possono permettersi.
Facendo così, ovviamente, si è attirato immediatamente la contraerea di entrambe le destre oggi dominanti nel dibattito pubblico, e quindi è stato criticato da una parte da quelli che appena gli tocchi Big Pharma si sentono chiamati in causa e, dall’altra, per essere a favore del genocidio-via-vaccino. Il thread risultante non è forse piacevole, ma è certamente istruttivo, purché chi si lasci trascinare nella lettura abbia tendenze masochistiche.
In mezzo al thread, comunque, c’era anche un interessante link alla storia degli anarchici volontari a Napoli durante l’epidemia del colera del 1884. La narrazione ha dei passaggi se non tendenziosi quanto meno tagliati secondo una prospettiva politica unilaterale, però la lettura è molto piacevole e non posso che sentirmi attratto dal passaggio: «la vera causa del colera era la miseria e la vera medicina per impedirne il ritorno non può essere altro che una rivoluzione sociale». Magari servirà intendersi sul senso esatto di parole come causa e rivoluzione sociale, ma l’occhio all’oggi ricorda che i gruppi sociali più poveri o esposti hanno pagato al COVID un prezzo di morte molto maggiore, e comunque meglio ragionare di medicina in senso sociale che secondo miserrime logiche scientiste (vedete che basta poco, mi parte la vena e mi metto nei guai?).
A proposito di colera e ‘800, ho da un po’ nella lista dei libri da leggere The Ghost Map, la storia pluripremiata dell’epidemia di Londra del 1854. Prometto di leggerlo e recensirlo, ma nel frattempo chi vuole può provvedere per conto suo.
Tamponi, capitalismo e statistiche
La sindemia è, come si sente spesso dire in giro, anche una buona occasione di guadagno, e non c’è sempre bisogno al riguardo di scomodare i vaccini. Per esempio Cory Doctorow recentemente segnalava che in varie città USA sono spuntati come funghi decine e decine di centri privati di somministrazione di tamponi – rapidi o meno – totalmente gratuiti.
Il problema, però, era che non pagavi niente ma non ti davano i risultati. Immagino i miei (spero pochi) lettori capitalisti scuotere le testa ricordando la vecchia ovvietà che non esiste un piatto di minestra gratis; il problema, tuttavia, a quanto racconta un giornale di Chicago, è sempre legato all’economia di mercato ma di tipo diverso: lo stato paga (profumatamente, direi) attori privati che somministrano i test per poi farsi rimborsare; questo ha attirato frotte di imprenditori non propriamente affidabili come, nel caso in questione, una coppia che in precedenza gestiva, ehm, locali di intrattenimento «dedicati al lancio dell’ascia».
Sempre sul tema dei tamponi su Scienza in rete ho letto (e già condiviso su Facebook) un bell’articolo di Chiara Sabelli. Il titolo, Il ruolo dei test antigenici rapidi nel controllo dell’epidemia, mi pare lievemente fuorviante: in realtà si tratta di un ottimo testo introduttivo, comprensibile e molto efficace, alla teoria del calcolo delle probabilità, partendo da qualcosa che tutti in questo periodo ci domandiamo: sarò positivo?
Questioni aperte
Due articoli molto diversi, ma entrambi molto interessanti, cercano di utilizzare strumenti di ricerca statistici per quantificare cose le cui dimenisoni non sono proprio semplici da stabilire.
Su Nature si prova, se non a stabilire un numero definitivo, perlomeno a capire quale sia stato sinora, il costo in vite umane della pandemia; se non avete il tempo di leggere, la sintesi è, più o meno: non lo sappiamo, ma comunque milioni e milioni in più dei dati ufficiali attuali. Il tema, ovviamente, è tanto più urgente nel momento nel quale, nell’ansia di dichiarare chiusa tutta la faccenda, una delle questioni maggiormente esorcizzate è proprio quella della perdita di vite umane avvenuta.
Su Scenari economici, invece, si prova s stilare un bilancio sul tema dello smart working e dei suoi effetti. Trovo il linguaggio dell’articolo un po’ buffo e anche un filo paludato, per esempio nell’uso sistematico del noi da parte dei ricercatori, però l’articolo è interessante nella metodologia e nei risultati (e, ovviamente, inviterebbe alla defenestrazione di Brunetta, ma questa, ovviamente, non è una sorpresa).
Sindemia e scienza comportamentale
Il Foglio è quel tipo di giornale che lo leggi con parecchi pregiudizi e invece i primi tre articoli ti stupiscono piacevolmente. Poi per fortuna il quarto è un pezzo becero del vicedirettore e il mondo torna alle sue giuste proporzioni. Il trucco sarebbe, quindi, fermarsi ai primi tre, fra i quali è certamente consigliabile Cosa abbiamo imparato in due anni di pandemia. Non si tratta tanto di lezioni in tema di salute pubblica, quanto dello scoprire i nostri comportamenti inscritti in logiche addirittura primordiali
tolti gli strumenti che la nostra cultura scientifica e la nostra tecnologia sono in grado di offrirci per difenderci dal virus, vale a dire tolti vaccini, farmaci e cure mediche specializzate, la risposta alla pandemia causata da un nuovo agente infettivo è ancora dominata da euristiche che hanno avuto un ruolo importantissimo nell’aumentare le probabilità di sopravvivenza di gruppi di individui nelle savane in cui ci siamo evoluti. Alcune di queste euristiche sono ancora più antiche dei primati, e sono una conseguenza di semplici interazioni fra rischio nel contatto sociale, dovuto alla presenza di parassiti, e rischio dell’isolamento sociale, dovuto ai predatori, come abbiamo descritto per le aragoste; ma su questo antichissimo substrato, le superiori capacità cognitive dei primati hanno introdotto nuovi elementi di valutazione del bilancio finale di vari tipi di comportamenti complessi, inaccessibili a organismi più antichi.
Io qualche dubbio sulla costruzione di parallelismi troppo spinti fra comportamenti sociali dei primati e i nostri li ho sempre, ma l’articolo è molto piacevole e introduce una logica equilibrata alla lettura dei conflitti attuali – pro e contro il lockdown, pro e contro i vaccini – della quale c’è certamente bisogno.
Sempre in tema di scienza comportamentale e di lezioni apprese nella sindemia, mi sembra utile segnalare la sfuriata su Twitter di Tara Haelle, una giornaolsita scientifica,
la cui posizione, sostanzialmente, è: era tutto prevedibile; è intollerabile la sufficienza, il pressapochismo e la mancanza di competenza con cui voi, “scienziati”, avete affrontato i temi della comunicazione delle scelte sanitarie e la costruzione del necessario consenso, salvo poi cascare dal pero quando le persone si comportano secondo logiche ampiamente previste dalla sociologia.
Era tutto prevedibile, il che ci riporta esattamente all’inizio di questo articolo.
Nel mezzo della sfuriata, che occupa un buon numero di tweet, Haelle cita una serie di materiali sull’esitazione vaccinale che io doverosamente vi riporto: un TED e quattro articoli (uno, due, tre e quattro). Tutto il thread, peraltro, è interessante e ci si trovano varie altre cose: per esempio uno studio sul fatto che i film post-apocalittici o sugli zombie possono avere aiutato le persone a trovare un senso dentro la pandemia (o, credo, a mettere un senso dentro la pandemia, che non è la stessa cosa e, nel caso specifico, può avere creato danni). Scopro perfino che c’è un database di materiale per giornalisti, a cura della stessa Haelle, su come scrivere correttamente a proposito dell’esitazione vaccinale, e una versione più meditata della sfuriata si trova poi qui, ma l’articolo più interessante è una riflessione dal tono analogo di uno scienziato che si occupa di cambiamento climatico.
Io prima del COVID non avevo capito che (in linea di massima) il contagio non è un evento “puntuale” nello spazio e nel tempo ma è piuttosto un’accumulazione dell’agente infettivo. Quando la quantità (ad esempio, di virioni) accumulata supera la capacità del sistema immunitario (nella sua versione “non adattiva”) di eliminarla, allora inizia la replicazione esponenziale dell’agente infettivo nel corpo e quindi la malattia. Questa poi viene combattuta dalla versione “adattiva” del sistema immunitario. Quest’ultima è “mirata” e più efficace di quella non adattiva nell’eliminare l’agente infettivo, ma ha bisogno di tempo per conoscerlo e preparare le contromisure, che sono gli anticorpi, ovvero delle proteine la cui forma è tale da incastrarsi bene sulle (di nuovo per esempio) particelle virali.
Da questo segue che l’accumulazione può avvenire anche in luoghi e ore differenti delllo stesso giorno. Magari facendo solo l’attività x o solo l’attività y uno non si sarebbe ammalato, ma facendo entrambe uno si ammala.
Segue anche l’efficacia delle mascherine, le quali limitano la dose di agente infettivo ricevuta, e non devono bloccarlo tutto per proteggere dalla malattia.
E per concludere:
“era tutto prevedibile; è intollerabile la sufficienza, il pressapochismo e la mancanza di competenza con cui voi, “scienziati”, avete affrontato i temi della comunicazione delle scelte sanitarie e la costruzione del necessario consenso”.
È pure la scarsa importanza attribuita all’educazione e all’istruzione. Era da un po’ che mi stavo chiedendo a cosa serve l’educazione se per fare la maggior parte dei lavori non è necessaria. La risposta è che l’educazione non serve “a fare la maggior parte dei lavori” 😉
Secondo me con un po’ di maggior seria considerazione dell’educazione cambiano pure le conclusioni della ricerca sociologica.