Tecnologie politiche
Ho letto oggi un articolo magnifico su The Atlantic che racconta tutta la parte tecnologica della campagna elettorale di Barack Obama (l’ho letto perché era citato in un articolo a sua volta interessante su LivePaola, che io ho trovato perché Gianluca Diegoli l’ha segnalato su Twitter: mi sembra giusto riconoscere tutta la catena).
Ora, la campagna elettorale di Barack Obama è terminata da un pezzo, ma da noi la competizione elettorale è in pieno svolgimento e i vari guru locali guardano a quella come a un esempio da imitare, in particolare per quel che riguarda l’utilizzo della rete e dei social network. Forse: perché i veri esperti sono scettici (probabilmente con qualche motivo), e soprattutto perché, se uno si legge The Atlantic, capisce che stiamo parlando di un altro mondo.
L’articolo in realtà non riguarda la rete: attraverso la figura di Harper Reed, capo responsabile tecnico della campagna di Obama, si ripercorre la costituzione di un gruppo di informatici che ha scritto e monitorato i software utilizzati dagli altri gruppi di lavoro: i pubblicitari delle campagne online, gli analisti statistici e gli organizzatori di tutte le varie iniziative sul campo (convegni, incontri, porta a porta). Ciascuno di questi gruppi ha bisogno di un supporto informatico: per assemblare le statistiche negli stati chiave, per catalogare i sostenitori, per riunire le liste di contatti, per automatizzare e facilitare l’invio di mail, messaggi Twitter e così via.
Ci sono dentro delle cose interessanti per il giocatore di ruolo: per esempio la cronaca dei giochi di ruolo con cui il team si è allenato a gestire eventuali crolli del sistema nei moneti cruciali (cosa succede se il giorno delle elezioni salta il database della costa est e non sappiamo più quale degli elettori democratici ha già votato e quale deve ancora votare? e se perdiamo il contatto con i rappresentanti ai seggi?). C’è anche una frase che sembra presa di peso da un romanzo cyberpunk
Yet if you’ve spent a lot of time around tech people, around Burning Man devotees, around startups, around San Francisco, around BBSs, around Reddit, Harper Reed probably makes sense to you. He’s a cool hacker. He gets profiled by Mother Jones even though he couldn’t talk with Tim Murphy, their reporter. He supports open source. He likes Japan. He says fuck a lot. He goes to hipster bars that serve vegan Mexican food, and where a quarter of the staff and clientele have mustaches.
Ma soprattutto leggendo l’articolo si capisce che il livello di ingegnerizzazione della campagna elettorale americana è da brividi: una sofisticazione dell’organizzazione, una qualità della profilazione degli elettori, un sistema di gestione delle azioni da intraprendere che lascia poco o nulla al caso; tutte cose che sembrano lontane anni luce dalla nostra situazione locale. L’articolo ha qualche caduta retorica ma è veramente interessante e sono contento di averlo recuperato adesso (è di novembre 2012): mi spiace solo che non ho il tempo di tradurlo.
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