L’isola del tesoro
Ho messo stamattina in linea la puntata di Oggi parliamo di libri dedicata a L’isola del tesoro di Stevenson. Una puntata che, lo dico a scanso di equivoci, non potete non ascoltare perché mia mamma dice che sono stato molto “bravo” e “colto”, e quindi evidentemente è una puntata che merita moltissimo.
Scherzi a parte, mi sembra sia stata una puntata abbastanza equilibrata in cui ho esplorato uno dei libri migliori di un autore che amo molto, quindi in realtà sulla puntata in sé non ho molto da dire, se non appunto invitarvi ad ascoltarla.
La mappa dell’Isola del tesoro
Narrazioni familiari
In trasmissione ho dovuto tagliare una parte di cose sulla genesi del romanzo a cui tenevo molto. La leggenda popolare (sostanziata da alcuni ricordi biografici) narra che in una sera piovosa il figlio di Stevenson stesse disegnando (o dipingendo ad acquerello) la mappa di un’isola e che da questo sia nato un passatempo familiare collettivo che per riempire la serata ha man mano associato ai vari luoghi disegnati su carta delle storie avventurose (trattandosi di un’isola il collegamento coi pirati è stato molto naturale) che poi hanno fatto da stimolo all’immaginazione di Stevenson fino alla stesura del romanzo vero e proprio.
È un episodio che si presta a molte riflessioni. Intanto ci ricorda che le famiglie in epoca pre-televisiva erano dei serbatoi importantissimi di narrazioni, una fonte oggi molto inaridita: e le conseguenze a lungo temine secondo me si vedono.
Come i giocatori di ruolo
Ma una serie di altre riflessioni mi sono venute dall’oggetto fisico “mappa” che è al centro della creazione del romanzo. Tutti quelli che hanno giocato di ruolo e si sono trovati a dover costruire un’avventura da zero conoscono l’esperienza di mettersi davanti a un foglio bianco e cominciare a riempirlo man mano con dei riferimenti: città, strade, la caverna del drago, un processo di costruzione narrativa per immagini che fissa in un quadro di riferimento spaziale (città qui, castello là, lupo ulilì… scusate, una contaminazione) pezzi di una storia.
Fa una certa emozione scoprire che anche Stevenson poteva utilizzare lo stesso metodo per costruire le sue storie, ma in realtà quello che volevo dire è più complesso.
Epopee eurocentriche e colonialismi
Sia chiaro: io di letteratura non ne capisco niente, quindi le cose che dico alla radio sono riflessioni da dilettante. Però cerco ugualmente di organizzarmi e di costruire e seguire uno schema, soprattutto nello scegliere gli autori, in modo da rappresentare filoni diversi. Preparando le puntate sui romanzi d’avventura mi sono reso conto ben presto di alcune caratteristiche: erano tutti europei, erano tutti dell’Ottocento…
Non è del tutto vero, ovviamente: avrei potuto fare una puntata su un romanzo cinese come I briganti (e forse la farò), però credo che ci capiamo se dico che in realtà rispetto alla maggior parte degli altri romanzi classici d’avventura rappresenterebbe un’eccezione. E naturalmente la narratura avventurosa non finisce nell’Ottocento: farò certamente puntate anche su romanzi più recenti, ma è chiaro che la fondazione del genere si colloca in un contesto storico e geografico ben preciso.
Quindi quel che ci rimane sono romanzi ottocenteschi europei. Dove sono ambientati? Non ci vuol molto a capire che l’ambientazione è (quasi) sempre esotica: e se Udolpho sceglie l’Italia e i suoi banditi (anzi: banditti), ben presto il genere si stabilizza diversamente e l’avventura si colloca laddove le sicurezze europee terminano, cioè ai confini (in espansione) del mondo, lungo le direttrici della conquista coloniale, l’India, l’Africa, i Caraibi, l’Ovest americano…
E quindi per iniziare questa serie di puntate ho scelto di presentare romanzi collocati in queste grandi epopee di conquista: poi complicherò le cose, perché ci sono anche avventure domestiche (Twain è l’eccezione con il suo Tom Sawyer in cui si trova un tesoro praticamente dietro casa, e Huckleberry Finn in cui si scopre che il Mississipi può essere esotico come il Gange).
E quindi la mappa…
Ma per tornare alle mappe, tutte le avventure comportano un viaggio, per i personaggi, per il lettore e anche per il narratore. Abbandonata quasi subito la via del romanzo storico, quasi del tutto ignorata l’ucronia (con le notevoli eccezioni delle peripezie arturiane di Mark Twain – ancora una volta – e dei dinosauri di Conan Doyle, che comunque è già del ‘900) nei grandi romanzi classici di avventura questo viaggio non è mai nel tempo, ma sempre geografico, e qualunque viaggio del genere richiede una mappa, o perlomeno: una mappa ci sta bene, è coerente con il fatto che l’avventura classica va sempre collocata in un contesto spaziale.
Nell’edizione de L’isola del tesoro una mappa non c’è, ma per gli autori successivi il riferimento resterà, fino a Tolkien con la sua famosa mappa della Terra di Mezzo e ai romanzi fantasy (confermando così che nel fantasy si immagina di andare in un altro mondo, cioè di dislocarsi spazialmente; nella fantascienza le mappe non ci sono, perché la dislocazione è temporale: si va nel futuro). E così l’umile atto del dungeon master che traccia la sua mappa delle segrete si colloca in una tradizione non da poco, anche se ormai quasi irriconoscibile.
Percorsi di lettura
Come ho detto a proposito de I promessi sposi questa nuova serie di puntate si caratterizza anche per il tentativo di parlare di più di un libro per volta.
Il primo suggerimento per un percorso di lettura che parta da L’isola del tesoro e si diriga verso luoghi meno esplorati è La vera storia del pirata Long John Silver, di Bjorn Larson, uno dei pochi svedesi che non scrive gialli, o almeno non ne scrive molti. La vera storia… è un libro meraviglioso, che riprende L’isola del tesoro dal punto di vista del famigerato Long John Silver (di gran lunga il personaggio più notevole del romanzo) e va molto oltre, a trattare l’intera epoca della pirateria con una chiave rigorosamente storica che finisce per essere più avvincente della pura invenzione (è comunque un romanzo, e un romanzo di grande finezza, oltretutto).
Sempre su Long John Silver c’è un bellissimo romanzo a fumetti con lo stesso nome, che ho consigliato in trasmissione senza però citare gli autori e quindi indebolendo il suggerimento stesso: rimedio adesso ricordando che sono Dorison e Lauffray (in Italia è edito dall’Editoriale Aurea).
È un storia davvero cupa, molto oltre anche rispetto alla ricostruzione realistica di Larsson, una storia che non offre scampo alcuno e tratteggia a forti tinte tutti i protagonisti. A me è piaciuto molto.
L’altro percorso di lettura, ovvio, è quello di riapprofondire (o di fare da zero) la conoscenza di Stevenson. In trasmissione ho raccontato che un paio d’anni fa me lo sono riletto quasi integralmente con gran piacere, ma è un autore vasto e multiforme e credo che occorra scegliere. Secondo me se si parte da L’isola del tesoro il percorso non dovrebbe soffermarsi tanto sui romanzi storici quanto andare subito al Dottor Jekyll – se poi il tema del doppio piace si può trovare fra i romanzi storici Il signore di Ballantrae (in cui c’è ugualmente il tema del doppio) mentre sui temi della paternità e il giungere all’adultità c’è Il ragazzo rapito. Di Stevenson sono molto belle secondo me anche le cose ambientate nei mari del Sud, ma alcune possono un po’ sorprendere, in bene o in male, il lettore occasionale, e io le lascerei per dopo.
La canzone della puntata
Abbiamo mandato in onda Rimini, di Fabrizio De André, perché Teresa è figlia di pirati e guarda verso il mare e mi sembrava che un collegamento ci fosse (e poi è una bella canzone).
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