Politiche di gestione del personale
L’altro giorno leggevo un articolo (un po’ vecchiotto, per dir la verità) su come la Microsoft si sia trasformata, nell’arco di dieci anni, da una supercorazzata dell’industria informatica in una vecchia baleniera un po’ rattoppata.
L’articolo, di Vanity Fair, è molto convincente nella sua tesi principale, che è addossare molte responsabilità all’amministratore delegato Steve Ballmer, anche se alcuni dubbi rimangono: perché se anche all’epoca in cui la Microsoft era nel pieno del suo splendore sotto Bill Gates c’era gente sui newsgroups che la chiamava Microzozz o Merda$oft vuol dire che la user experience o la fidelizzazione della clientela lasciava qualocosa a desiderare. Ad ogni modo l’articolo merita e consiglio di leggerlo ma quel che mi ha colpito è un elemento secondario.
A un certo punto infatti si racconta come l’azienda sotto Ballmer abbia deciso di implementare un sistema di gestione del personale in termini di incentivi e punizioni che è noto come stack ranking system (è una variazione di un sistema generale noto come curva di vitalità) e che sostanzialmente funziona così: ogni sei mesi il personale viene valutato e diviso in tre gradi di soddisfazione dal punto di vista dell’azienda. Il grado più alto è composto dal 20% dei dipendenti (e hanno un sacco di premi, bonus e promozioni). Un altro 70% è il grado mediano, con un po’ di riconoscimento economico. Il 10% più basso sono i “cattivi lavoratori” e vanno puniti.
La cosa che merita di essere notata è che questi sono valori fissi. Vuol dire che, indipendentemente dalla qualità del lavoratore, un certo numero dovrà sempre essere nella quota più bassa. Paradossalmente, se tutti i lavoratori sono di uguale rendimento, un 10% dovrebbe essere punito a caso, e dopo due valutazioni “C” successive c’è un motivo sufficiente per il licenziamento (ipocritamente, si dice che “il sistema permette di accompagnare le persone verso compiti più adatti a loro”).
Il sistema è stato introdotto nel mondo aziendale americano dall’amministratore delegato della General Electric, un certo Jack Welch, che durante il suo mandato dal 1981 al 2001 ha incrementato il valore dell’azienda del 4000%: i teorici del liberismo radicale attribuiscono il successo alle drastiche ristrutturazioni interne e alle politiche del personale come quella dello stack ranking (che nel gergo della General Electric era noto come rank & yank, cioè più o meno “gradali e sradicali”); io, per non saper né leggere né scrivere, mi chiederei quanto abbia pesato lo spostamento delle attività dell’azienda verso la fornitura di servizi finanziari, ma non è nemmeno questo il problema principale.
La questione è che le altre aziende che hanno adottato lo stesso sistema non sono riuscite a replicare i risultati: stiamo parlando di aziende note per performace “brillanti” come la Motorola, la Enron (già) e appunto la Microsoft. Del resto, dopo il pensionamento di Welch la stessa General Electric ha sostanzialmente abbandonato il sistema. O meglio: il problema non è neanche che le aziende non abbiano mostrato miglioramenti: il problema è che lo stack ranking sembra capace di danneggiare l’azienda che lo impiega.
L’articolo da cui siamo partiti racconta il caso della Microsoft: per non correre il rischio di cadere in basso i programmatori rifiutavano di condividere le informazioni e di lavorare in gruppi in cui erano presenti altri soggetti brillanti, per non correre il rischio del confronto diretto. Dove possibile si procedeva addirittura a sabotare il lavoro altrui, per esempio ritardando cruciali condivisioni di materiali e informazioni. L’azienda ha posto più enfasi su procedure e burocrazia, diventando quindi ancora meno efficiente e innovativa. I dipendenti hanno sottratto tempo e attenzione ai compiti più direttamente produttivi per dedicare più spazio alla politica interna, alla cura dei rapporti coi capi e i soggetti potenti in grado di assegnare loro un buon giudizio o proteggerli. E più importanza assumeva il gioco politico più fagocitava attenzione rispetto a tutto il resto.
La cosa più interessante è l’elaborazione di strutture organizzative del tutto nuove per gestire lo stress e la necessità di negoziare la nuova situazione, dato che i capistruttura provavano a proteggere i propri feudi; leggo racconti di riunioni periodiche semiufficiali dei capi per inscenare una specie di mercato delle vacche: «Se mi metti Jack in classe “A” allora io voto a favore di Bill», e così via (la cosa interessante è che ho trovato un altro articolo, a proposito della GlaxoSmithKline in cui viene più o meno riportata la stessa cosa: prima di Natale i direttori zonali si riunivano per duellare su quali impiegati premiare e quali dannare).
Proviamo a riassumere in maniera più moderata: è probabile che nel breve periodo il sistema, fornendo uno strumento disciplinare temibile, permetta di eliminare alcune sacche di inefficienza. Inoltre, laddove la dirigenza ha già determinato di dover procedere a licenziamenti per motivi economici, permette di presentarli dietro un pretesto di efficienza e quindi, addossandone la colpa ai lavoratori inefficienti, di gestire i tagli al personale da posizione di forza.
Nel medio-lungo periodo, però, l’azienda la paga cara. Nelle aziende che utilizzano il sistema compaiono artificiosità nelle valutazioni, incentivo a comportamenti poco etici o disonesti e al barare nella reportistica interna (un elemento citato anche a proposito del fallimento Enron), conflittualità interna crescente, scarsa circolazione delle informazioni, lavoro di gruppo azzoppato, trasformazione in peggio della cultura manageriale, con maggiore enfasi sul procedimento di valutazione piuttosto che sulla conduzione degli affari, sclerotizzazione delle procedure, eliminazione di personale di qualità, distorsioni nelle procedure di assunzione, nepotismi e favoritismi, eccetera. E la giubilazione di Ballmer è un po’ il suggello del fallimento dell’esperimento: rimangono ancora in circolazione tutti quei consulenti e quelle scuole di pensiero di scuola reaganiana ciecamente affidati all’idea della concorrenza che hanno divulgato questo tipo di sistemi di valutazione, ma il clima in America sembra essersi fatto poco accogliente per loro.
Niente paura. Come un tempo si diceva pinta sa linna e portala in Sardinna c’è sempre qualche paese sfigato dove strumenti culturali ormai da rottamare possono essere riciclati con successo. Come diceva Keynes:
Gli uomini della pratica, i quali si credono del tutto liberi da ogni influenza intellettuale, sono spesso gli schiavi di qualche economista defunto. Ci sono folli al potere che odono voci nell’aria, e distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochi anni addietro…
E qual è l’uomo eminentemente pratico, certamente abilissimo, che si è lasciato sedurre dalle idee d’oltreoceano?
Secondo me avete già capito.
La riforma Brunetta del pubblico impiego, infatti, prevede la suddivisione del personale in tre fasce (in percentuale: 25%, 50% e 25% rispettivamente) legate alle performance. Non è detto nello stesso punto, ma siccome violare gli obiettivi di prestazione per due anni di seguito è motivo di licenziamento essere collocati nella fascia più bassa non è proprio rassicurante.
A me all’epoca la cosa parve del tutto folle: sono stato contento adesso, leggendo l’articolo sulla Microsoft, di vedere che avevo ragione – ditemi voi se la Pubblica Amministrazione italiana ha bisogno di maggiore conflittualità interna, più burocrazia, minore innovazione, minore circolazione di informazioni, più cura della politica interna, più favoritismi…
P.S. Non ci sarebbe bisogno di dirlo, ma visto che sono un impiegato pubblico lo specifico: io sono a favore delle valutazioni degli operatori e delle prestazioni. Ma sul serio, però!
Ti sei concentrato sull’aspetto dell’efficacia. Ma questo metodo delle fasce mi sa che non mi piacerebbe neanche se fosse efficacissimo …
Posto che la gestione di una tale mole di lavoratori è ostica qualunque strada si scelga, l’ideale di scala sarebbe relativa a punteggi.
9-10 incentivo
3-8 nulla
1-2 disincentivo o ammonizione
Idealmente i lavoratori di un’azienda x potrebbero perfino essere tutti da 10, tutti da 6 o tutti da 1. In ogni caso la produttività dell’impiegato giustifica i bonus, eventuali mancanze l’ammonizione e la sufficienza (che ci piaccia o no rispecchia la stragrande maggioranza dei lavoratori) una discreta stabilità.
Poi gli exploit di un sistema si trovano quasi sempre, come diversi ruoli devono essere spesso giudicati in base a canoni molti diversi e difficilmente uniformabili.
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