Pizza e Ichnusa
L’altro giorno, cercando materiale sullo storico Terence Ranger per l’articolo sul Prigioniero di Zenda mi sono imbattuto inn una cosa chiamata effetto pizza.
Non è quel meccanismo per cui la notte dopo la pizza coi peperoni ti devi alzare parecchie volte per bere; è piuttosto una teoria storico-antropologica, che sostiene che le comunità che presentano fenomeni di emigrazione acquisiscono, al ritorno degli emigrati, degli elementi nuovi che vengono rapidamente incorporati nella società originaria e diventano tradizionali.
Confusi? La pizza spiega tutto. La teoria sostiene che prima dell’ondata di migrazioni dell’800 la pizza non fosse un alimento tradizionale in Italia: c’erano vari tipi di focacce ma sono stati i nostri compatrioti in America a sviluppare la ricetta di quella che è oggi la pizza. In seguito, tornando in Italia, l’hanno introdotta nei territori di partenza e da lì si è diffusa ed è stata accettata in maniera così forte che poche generazioni dopo ogni italiano crede che la pizza… ci sia sempre stata.
Non conosco abbastanza la storia alimentare d’Italia per validare o confutare la teoria per quanto riguarda specificamente la pizza (non tutto mi torna): ma il meccanismo è identico a quello del kebab, che non è un cibo tradizionale arabo (nel senso di “panino col kebab“, in contrapposizione con carni grigliate, spiedini e polpette da sempre diffusi in tutto il Vicino e Medio Oriente), quanto piuttosto il tipo di alimento utilizzato dagli emigrati turchi in Germania. Il successo e la diffusione, soprattutto agli occhi degli stranieri, ha comportato la progressiva sostituzione della nuova ricetta agli altri modi di preparare le carni, fino a farla percepire come tipica e tradizionale – soprattutto perché vendibile in Occidente.
L’effetto pizza, insomma, comporta il fatto che una comunità si guardi, per il tramite degli emigrati, con gli occhi di un altro popolo e, in qualche modo, faccia proprio quello sguardo fino a crederlo quello vero: a parte la pizza la teoria è citata per esempio per spiegare perché il Bhagavad Gita si sia affermato in India rispetto ad altri testi poetico-letterari e religiosi, successivamente al riconoscimento avuto in Occidente o analogamente perché si sia affermata una scuola yoga rispetto a un’altra.
Mentre leggevo questo tipo di definizioni improvvisamente mi è venuto in mente che l’effetto pizza spiega benissimo il successo dell’Ichnusa.
Tutti sanno che negli ultimi anni la birra Ichnusa si è affermata come la birra tradizionale sarda. L’azienda è da sempre localizzata nei pressi di Cagliari, ma paradossalmente questo tipo di identità si è affermata con più forza da quando è stata acquisita da una multinazionale olandese: del resto dal punto di vista della cultura popolare non è l’Ichnusa ad avere le migliori testimonianze, casomai è la Dreher (allo stadio da ragazzi cantavamo: «a Macomer si fa la Dreher, si fa la Dreher a Ma-co-mer!»). Ora la mia teoria sarebbe questa: sono stati i turisti a garantire il successo dell’Ichnusa, loro che si sono visti servire una birra con i quattro mori sull’etichetta e che hanno trasferito sulla birra tutti quei sentimenti positivi, fino alla mitizzazione, suscitati da una vacanza in Sardegna: «che buona questa vostra birra», «sono in Sardegna e perciò bevo Ichnusa», «non vedo l’ora di tornare in Sardegna per farmi una buona Ichnusa». Se è vera la mia idea dell’effetto pizza non è perché la Dreher ha abbandonato il campo che l’Ichnusa si è affermata come la “birra sarda”, e nemmeno perché le birre artigianali sono troppo poco diffuse o troppo care, ma perché l’Ichnusa è la birra che i turisti hanno a disposizione e che percepiscono come locale. E i sardi l’hanno fatta propria perché hanno guardato la birra con gli occhi degli stranieri, e vi hanno trovato riflesso un contenuto che, anche per motivi materiali (disponibilità, prezzo concorrenziale), ha fatto sì che fosse percepità come la birra della Sardegna.
Una parola di avviso
Sull’Ichnusa e il suo legame con la Sardegna ci sono da tempo posizioni differenti: con la mia ipotesi dell’effetto pizza non intendo entrare nella questione, o meglio, non voglio né confermare né smentire la teoria per la quale la narrazione pubblicitaria dell’Ichnusa sarebbe espressione di un colonialismo culturale. Piuttosto suggerirei che porre la questione in questi termini (e nel suo opposto, che è la posizione di quelli che siccome ci sono i quattro mori sull’etichetta allora va bevuta perché deu seu sardu) mi pare singolarmente povero, perché suppone che l’identità sia un qualcosa di immutabile che è dato per sempre; casomai il pizz… ehm Ichnusa effect ci ricorda che ci si può definire solo nell’interazione e nello specchiarsi negli occhi degli altri: sono le relazioni che fanno le identità, non viceversa.
Vorrei anche sapere perché negli ingredienti ci sia anche il mais (granoturco). Quando la ricetta base di ogni birra è acqua, orzo, luppolo e per alcune lievito.
Anni fa mentre bevevo una birra Messina a Messina ho avuto la sensazione che avesse lo stesso gusto dell’Ichnusa, leggendo l’etichetta ho scoperto che la birretta sicula era fatta ad Assemini. Heineken ha standardizzato le varie birre che siano prodotte a Massafra o in Sicilia o nel nord Italia, la ricetta è sempre la stessa con il mais, cambia solamente l’etichetta e la storicizzazione per venderla vedi i 100 anni di “storia” della birra sarda più bevuta. Meno male che è possibile trovare delle birre artigianali che sono più care ma almeno sono realmente birre prodotte in Sardegna anche se non hanno il folklore dell’Ichnusa. E poi non è che dobbiamo sconchinarci ogni volta che beviamo. Salute/i
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