Il commissario Maigret a “Oggi parliamo di libri”
Ho messo in rete ieri la puntata di Oggi parliamo di libri dedicata a Maigret.
Ho letto o riletto molto Simenon questo autunno, in preparazione alla puntata: questo perché in realtà non avevo mai frequentato particolarmente i suoi gialli, mentre avevo esplorato un po’ di più il resto della sua produzione. Devo dire che è stata una rivelazione, una vera scoperta dell’età adulta, e spero che una parte del piacere che ho provato nella lettura emerga dalla trasmissione.
Maigret è un personaggio conosciutissimo, anche attraverso le trasposizioni televisive, quindi non era proprio il caso di mettersi a fare critica letteraria e ho cercato soltanto di riassumerne le caratteristiche principali, magari infilandoci anche un po’ di argomenti collaterali, come la definizione di police procedural o la presentazione del concetto di continuity che mi serviva presentare al mio pubblico (qualunque esso sia) in vista delle puntate successive.
La modernità di Maigret
Proprio su questi temi vorrei dilungarmi un po’: ma prima vorrei dire di quanto ho trovato moderno Simenon, nelle tematiche, nella scrittura, nella definizione dei personaggi, nella gestione delle storie e di quanto, per converso, faccia apparire di maniera una serie di altri investigatori al confronto di Maigret sembrano imitazioni di maniera – direi, a occhio, almeno l’Adamsberg di Fred Vargas (come personaggio, poi le storie sono un altro paio di maniche).
Questa modernità sta anche un po’ nelle tematiche diciamo così “commerciali” della serie di romanzi: per esempio mi ha colpito molto La prima inchiesta di Maigret, un prequel se mai ce n’è stato uno, ma anche l’idea della tournée americana di Maigret in corrispondenza del trasferimento negli USA di Simenon, una ambientazione che pare fatta apposta per conquistare nuove fette di mercato di appassionati nel nuovo contesto americano. Nella mia ingenuità credevo che l’industria editoriale della prima metà del secolo scorso fosse meno smaliziata: e invece la capacità di sfruttamento commerciale di un personaggio (anche su più piattaforme, considerando che gli adattamenti cinematografici e televisivi di Maigret sono cominciati molto presto) era evidentemente più che matura.
Nonostante questa modernità l’ambientazione di Maigret è così fortemente determinata storicamente, così intrisa di materia che riconosciamo ormai remota (cavallanti delle chiatte, rappresentanti di commercio di provincia, operai dei quartieri popolari, la criminalità del tempo che fu, una ricca borghesia che anch’essa non esiste più, e poi i night, i bistrot, osterie di paese e biciclette dappertutto), così tipica di una società industriale che la lettura nel nostro mondo postmoderno acquisisce alla fine una qualità un po’ straniante. O almeno così l’ho vissuta io.
Police procedural e coralità
Durante la trasmissione ho citato i romanzi di Maigret come esempio di police procedural: già in trasmissione ho avuto la sensazione che fosse una affermazione quanto meno imprudente ma tutto sommato, dopo averci ripensato, direi che regge: e comunque era questa la prima occasione in cui ne potevo parlare in maniera minimamente corretta, perché nei gialli di Martin Beck l’attenzione alla descrizione delle indagini mi pare che ci sia ancora meno – forse dovremo aspettare ad arrivare fino al Lucas Davenport di John Sandford (metterò in linea la puntata fra un paio di giorni) per incontrare un esempio più appropriato.
Il problema mi pare, riflettendo, che non siano tanti i casi di giallisti attenti a mettere in scena un vero e proprio police procedural comparabile, diciamo, con il trattamento che si è visto in TV su Law & Order (o in maniera differente su NYPD e derivati – forse dovrei citare come antesignano Hill Street giorno e notte). Non conosco abbastanza bene Ed McBain e il suo 87° Distretto (oltre che un migliaio di giallisti minori del dopoguerra) ma comunque rimango dubbioso, tanto più che vedo che vengono ascritti al genere autori come Tony Hillermann (metterò preso in linea anche la puntata su di lui) e appunto il duo Sjöwall e Wahlöö. Tutto sommato resto della mia opinione e mi sembra interessante sottolineare questo scarto fra la letteratura di genere e la narrazione seriale televisiva: perché ho l’impressione che il problema sia che la pagina scritta richieda in maniera più esigente un singolo protagonista e che questo, alla fine, spinga lo scrittore a concentrarsi più sui suoi moti psicologici personali che sulla macchina investigativa generale, laddove una narrazione televisiva gode molto di più della creazione di trame e sottotrame legate alle vicende dei vari personaggi: il police procedural richiede la coralità, ma seguire sulla pagina il dipanarsi di tanti fili narrativi è più adatto a narrazioni di maggiore respiro – per informazioni maggiori rivolgersi a G.R.R. Martin.
Il che ci porta al tema della coralità: sulla base di quei due o tre gialli di Maigret che avevo letto in passato ero convinto che quelli di Maigret fossero dei romanzi corali. In realtà, come ho sottolineato in trasmissione, mi sono reso conto che mi sbagliavo. I comprimari ricorrenti sono spesso ridotti poco più che ad “appendiabiti”, nel senso di personaggi su cui lo scrittore appoggia man mano quello che gli serve: un parere, un consiglio, il ruolo di interlocutore in modo che Maigret possa esternare i suoi pensieri.
Quel che inganna il lettore è l’abilità diabolica di Simenon nel tratteggiare abilmente bozzetti, definire tipi e caratteri: eccelle naturalmente, come è ben noto, nella descrizione di ambiente, quindi la cura maggiore è dedicata ai personaggi non ricorrenti, testimoni, sospettati, colpevoli, vittime, il milieu in cui ciascun caso è ambientato, ma anche gli ispettori e gli altri personaggi fissi sono cesellati finemente: appendiabiti si, ma ben scolpiti.
Avrei un ultimo argomento da affrontare ma prima, come nella puntata, una pausa musicale: in trasmissione abbiamo usato, su suggerimento di Tino Dessì, mio consocio Fabbricastorie, Zaz in Dans ma rue, ed è stata una piacevole scoperta (naturalmente parte del merito è di Edith Piaf).
Due parole sulla continuity
Un po’ per caso durante la puntata sono finito a parlare di continuity. Come per il tema della coralità è una riflessione che ha continuato a girarmi per la testa anche dopo la puntata portandomi pure a riconsiderare in parte le mie opinioni.
In realtà mi sono reso conto che tendo a considerare il concetto di continuity più o meno nei termini in cui veniva discusso dagli appassionati di fumetti negli anni ’90, che si lamentavano di serie come Tex o Zagor in cui sostanzialmente, a parte alcuni eventi fondamentali fissati più o meno nei primi momenti della serie (la morte della moglie di Tex, per esempio) o le vicende legate ad alcuni importanti antagonisti ricorrenti, non c’è mai nessuna evoluzione. Nel campo del giallo, Sherlock Holmes funziona allo stesso modo: a parte il matrimonio e poi la vedovanza di Watson e il confronto con Moriarty non ci sono grossi punti di svolta nei racconti. Certi appassionati di fumetti invocavano narrazioni più simili a quelle dei supereroi americani, con le loro saghe che si succedono le une con le altre e che sono, oltretutto, coerenti complessivamente: il fatto che le vicende di Capitan America e l’Uomo Ragno procedessero in parallelo e in maniera coerente (insieme con quelle di almeno un’altra decina di testate con dozzine di personaggi) sembrava chissà che cosa.
Nonostante quello che ho detto in trasmissione mi sono reso conto che la continuity di Maigret non è in fondo molto diversa da quella di un personaggio come Holmes. Anche facendo la tara per gli andirivieni di Simenon, che lo pone e lo toglie dalla pensione a intermittenza, a parte alcuni eventi fondamentali, qualche promozione, il pensionamento soprattutto, non c’è nessuna evoluzione nel personaggio Maigret, nella sua psicologia interiore, e molto poco cambia anche nelle sue definizioni esteriori: quasi sempre più o meno lo stesso lavoro, nelle stese condizioni, con lo stesso gruppo di collaboratori ricorrenti.
Il che in realtà mi ha portato a chiedermi: ma alla fine, che diamine è ‘sta continuity? E dandomi una risposta l’ho trovato un concetto sempre meno soddisfacente – come del resto buona parte delle discussioni fra appassionati di fumetti di quegli anni, considerato che la passione per la continuity ci ha dato fumetti buoni ma anche cose pessime, a riprova che magari era meglio discutere d’altro.
A me pare che nel calderone vanno cose molto diverse fra loro: il minimo è l’attenzione al trascorrere del tempo e alla necessità fisica per il personaggio di cambiare, trasformarsi, invecchiare… – Simenon nella sua scrittura di Maigret tiene conto di questa dimensione, salvo che poi non sempre si capisce a che punto sta collocando ciascuna storia, ma questo è un altro discorso. Ma questa attenzione non implica che si scelga uno stile narrativo orizzontale: le vicende che coinvolgono Maigret hanno raramente conseguenze che vengono trasferite da un romanzo all’altro (l’unica sottotrama ricorrente è forse quella relativa al pensionamento). E anche qualora ci sia una narrazione orizzontale questo non implica che ci sia una evoluzione del personaggio: nei suoi caratteri fondamentali Maigret rimane psicologicamente sempre uguale a se stesso, in fondo mai scalfito, mai segnato (o forse: già segnato prima che il racconto cominci) dal confronto quotidiano col crimine e la macchina della giustizia.
Riflettendoci su mi pare che, come per il discorso del police procedural, non sia facile per un giallista abbracciare una visione del proprio personaggio che man mano possa evolvere: fra quelli che ho trattato sinora Conan Doyle (e Chesterton), per esempio, sembrano far agire Holmes e padre Brown in una dimensione del tutto atemporale, ma non è che Chandler in fondo costruisca il suo Philip Marlowe in maniera diversa (ma adesso mi è venuta voglia di rileggerlo di nuovo, quindi controllerò). L’unico per il quale si possa parlare di continuity in tutti i sensi, fino alla sensazione di star leggendo non tre romanzi distinti ma un’unica storia a puntate è Fabio Montale.
Ci sarebbe poi da dire di quelli delle puntate successive ma credo di essermi dilungato abbastanza: ne parleremo qualche altra volta!
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