Forse non fa davvero
Dopo aver finito di leggere Forse non fa (Celestino Tabasso, Caracó 2013) mi è venuto da pensare che in molti casi in letteratura il piglio sfrenato fino all’impudenza può sostituire molte altre cose e (quasi) salvare un libro.
Forse non fa ha l’ambizione di raccontare Cagliari attraverso i tic dei suoi abitanti, e di farlo divertendo. Per essere divertente è divertente: strappa in più di un momento un sogghigno (mai una risata liberatoria, peraltro). Ma l’umorismo non riesce a nascondere una certa banalità del sottofondo: si lavora soprattutto con stereotipi e assolutizzazioni del punto di vista, trasformando in caratteristiche della città quelli che sono punti di riferimento per piccoli gruppi sociali di abitanti. E l’umorismo è raggiunto più con un armamentario di trucchi retorici da scuola di scrittura creativa ormai trito e ritrito (l’accumulo, l’iperbole, lo sviamento: cose che faceva Michele Serra da giovane, cioè secoli fa) che con vere invenzioni. E però il pedale dell’acceleratore è tenuto uniformemente premuto a tavoletta senza esitazioni e il lettore, trasportato quasi contro la sua volontà arriva in un lampo alla fine del libro con un senso di perplessa euforia.
Direte: ma insomma, che vuoi di più? Fa sorridere, si fa leggere, va giù come un bicchier d’acqua, da un libro umoristico che vuoi di più?
Che mi faccia pensare un pochino, magari. E con questo libro… non fa.
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