Progetto Cafarnao
Sul sito nazionale dell’AC è in corso la pubblicazione di materiali presentati nella casa San Girolamo di Spello durante le attività estive, tra i quali una bella relazione di Paola Bignardi sulla ricerca di senso nella malattia, il dolore e la morte.
La Bignardi svolge il suo ragionamento con molta finezza e profondità; il centro della sua riflessione mi sembra il tema della solitudine nel dolore:
E così il dolore, che esiste anche se lo nascondiamo, finisce con l’essere esperienza che si vive in solitudine, in silenzio, condividendolo solo con le persone care e con gli amici, e talvolta neppure con loro, perché l’oscuramento del dolore, di cui ho parlato prima, finisce per generare una sorta di imbarazzo nelle relazioni, come se la persona, per il fatto di avere un problema con cui far ei conti, non fosse più la stessa. […] Vi è un’ultima conseguenza che vorei evidenziare: poiché del dolore non si parla più, si finisce con l’essere privi delle parole per dire ciò che proviamo, sotto il peso della prova. Ci mancano le parole per dire il dramma, la sofferenza, la delusione, la rabbia, lo scacco, il fallimento… ci manca in definitiva l’esperienza del passaggio dall’emozione che ci prende e ci colpisce, al di là della nostra libertà, al pensiero, che elabora ciò che si vive, lo traduce in parola, elabora percorsi di senso…
una solitudine, quindi, sia fisica che esistenziale.
Il dolore è certamente presente nella nostra vita personale, sia quello diretto per una malattia o una sofferenza propria, sia quello provato a seguito di un lutto o della malattia di una persona cara, che magari impone anche obblighi e fatiche per la cura e l’assistenza. Nell’esperienza comune dei nostri gruppi, particolarmente adulti, questo corrisponde, spesso, ad un abbandono o almeno a un rallentamento della vita associativa, i cui ritmi divengono insostenibili per chi deve seguire cure lunghe e dolorose, o assistere con assiduità un congiunto, o non può uscire di casa (pensiamo a tanti soci anziani la cui salute diviene malferma e la cui autonomia di movimento diminuisce drasticamente). Come la Bignardi ci ricorda, questo abbandono della vita associativa corrisponde proprio al momento in cui la persona può sperimentare più amaramente la solitudine, il bisogno di confronto, l’esigenza di una formazione che lo aiuti a trovare senso e parole per esprimere e dare senso al proprio dolore.
I soci che si sono allontanati per questi motivi costituiscono, insomma, una categoria particolare di quella “grande famiglia” di cui ho parlato un’altra volta su questo blog: quei soci che, per un motivo o per l’altro, scivolano ai margini della vita associativa e, poiché sono lontani dallo sguardo, finiscono purtroppo anche lontani dal cuore.
Naturalmente non è sempre così: soprattutto nelle parrocchie extra-urbane sono attive reti di solidarietà e divicinanza nei confronti dei soci anziani, malati, provati dalla sofferenza di persone care. Altrettanto spesso, però si tratta di reti basate sulla buona volontà dei singoli e che non sempre coinvolgono tutto il gruppo. Si potrebbe forse pensare a qualcosa di più.
Abbiamo parlato ieri del lavorare per progetti: mi piace immaginare, allora, qualche parrocchia inventare un progetto Cafarnao; a Cafarnao infatti Gesù è presentato dai Vangeli nella sua dimensione di terapeuta, come ci ricorda padre Rinaldo Fabris:
Il vangelo di Marco, che fa da modello agli altri due sinottici, riassume l’attività di Gesù a Cafarnao in questo modo: “Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni…” (Mc 1,32-34; cfr. Mc 3,7-12; 6,54-56)». E prosegue: «anche il giusto che vive relazioni positive si scontra con la dura realtà della malattia e della morte. Il grido dei malati e morenti dei Salmi o di Giobbe fa appello al nuovo orizzonte aperto da Gesù che annuncia il regno di Dio per i poveri e lo inaugura con la sua risurrezione dai morti, anticipata profeticamente nei segni di guarigione. Gesù affronta la sua morte come estremo atto di fedeltà a Dio e solidarietà con gli esseri umani. In tal modo egli trasforma la condizione umana segnata dal limite mortale e offre la garanzia della salute-salvezza. Mediante il dono del suo Spirito tutti gli esseri umani sono messi nella condizione di realizzare quell’anelito alla vita piena e definitiva che è presente in essi fin dalla creazione.
Articolo del 31 agosto 2011 su ultimotriennio ispirato dalle fatiche di alcuni amici.