Non poteva funzionare
Credo di avere sentito parlare per la prima volta di Banca Popolare Etica nell’ottobre del 1995; un amico trasferitosi a Viterbo per studiare era entrato a far parte del GIT locale e ci segnalò una presentazione pubblica che si doveva tenere a Cagliari. Mia moglie, che l’ha sempre saputa molto più lunga di me, insistette per andare e così ci ritrovammo in quattro gatti in una sala dell’Università a sentir parlare di questa strana banca che si voleva fondare.
Posso permettermi di dirlo con franchezza, adesso: quella presentazione non mi fece una grossa impressione. Ero molto imbevuto di idee economiche ultraortodosse, e semplicemente mi dissi che “non poteva funzionare”. A mia moglie, invece, l’idea piacque parecchio.
L’anno seguente, durante la famosa crisi durante la quale la Banca d’Italia spostò l’obiettivo della raccolta del capitale sociale [per costituire Banca Etica] da due miliardi e mezzo a dodici, la banca decise di promuovere dei corsi di formazione per soci referenti delle zone non ancora coperte da GIT, tra cui la Sardegna. Un altro amico ci segnalò la cosa e mia moglie, che continuava a saperla molto più lunga di me, mi convinse a presentare domanda con lei. Sorprendentemente, fummo accettati, ma io continuavo a essere scettico: ricordo che nel primo seminario dissi papale papale a Mario Cavani e Fabio Silva (due vicepresidenti della futura Banca!) che secondo me non poteva funzionare e che li sfidavo a convincermi. Ah-ah! Questo dimostra quanto ero giovane e stupido! E, considerando che al termine di quella settimana di formazione non c’era al mondo sostenitore della Banca Etica più convinto di me, dimostra anche quanto erano bravi loro come formatori. E naturalmente, dimostra ancora una volta che mia moglie effettivamente la sapeva molto più lunga di me.
Tornati a Cagliari, costituimmo finalmente il primo gruppo di intervento territoriale locale, aggregando pian piano le persone e le organizzazioni che avevano già aderito alla Banca, e imparando a stringere relazioni, alcune anche impensate. Qui, l’accento va su relazioni e impensate.
Il tema della relazione è quello che fa da sottofondo in maniera più costante alla vita del nostro GIT; noi stessi siamo entrati dentro il progetto di Banca Etica grazie al passaparola di amici, e così credo per la stragrande maggioranza dei nuovi soci. E poi i momenti di grazia del GIT sono sempre stati quelli in cui si è stati capaci di lavorare sulle relazioni fra i soci, rendendo ciascuno parte non solo di un progetto astratto ma piuttosto di una realtà vorrei dire piuttosto materiale, fatta di persone concrete, incontri (e scontri!) faccia a faccia, tempo passato insieme, che fosse ai banchetti per strada o in interminabili riunioni (e al contrario, un vago senso di colpa mi coglie sempre quando penso ai soci che non frequentano o che non conosco, e mi chiedo se non sia perché non abbiamo saputo costruire relazioni personali con ciascuno di loro). È una eredità che credo ci abbia aiutato anche nelle nostre ultime realizzazioni, come il progetto Nuove Officine.
Per me personalmente, la vita con la Bancaha comportato piuttosto una scoperta continua: di stili di vita insospettati, di persone fantastiche intente caparbiamente a migliorare il mondo, di soluzioni geniali e semplicissime (dopo averci pensato, naturalmente) a problemi sociali apparentemente insolubili. E ricordo di essere andato in viaggio di nozze a Riace (sempre grazie a un’idea di mia moglie), di essere stato accolto con grande amicizia e poi, appena dichiarata l’appartenenza a “Banca Etica”, di essere stato messo a compilare moduli per richieste di finanziamento, «perché tu te ne intendi». Io, che per i ragazzi della cooperativo nutrivo una ammirazione sconfinata e osservavo con stupore il loro progetto. Relazioni e sorprese, appunto.
Certo, in Sardegna per molto tempo, non essendoci una operatività immediata della Banca, alcuni dei progetti finanziati di cui leggevamo su BancaNote acquisivano un tono un po’ leggendario, ed è sempre stato importante che qualcuno, di ritorno “dal Continente” raccontasse le esperienze dirette, da come era fatta la filiale di Roma a come era concretamente fatta questa benedetta Abbazia di Lanuvio (peraltro la comparsa dei prodotti dei monaci sugli scaffali della Bottega e della Conad locale fu salutata come una vittoria epocale).
Naturalmente, adesso non è più così; con la presenza del banchiere ambulante stiamo entrando in una situazione completamente nuova, come il passaggio alla maturità. Certo, valeva la pena di faticare per arrivarci, e credo che valga ancora la pena di crederci e volerci lavorare anche per chi è socio da tanto tempo… ma certo a me l’idea che fra due anni o tre ci possa essere una filiale a Cagliari continua a sembrare una sorta di miracolo improbabile. L’altro giorno ho detto a mia moglie: «Ma tu, ci avresti mai creduto che avremmo avuto una filiale a Cagliari, un giorno?». Lei mi ha guardato come se io mi stessi meravigliando perché il sole sorge tutte le mattine, e mi ha detto: «Certo!». Ma del resto, mia moglie l’ha sempre saputa molto più lunga di me.
Un articolo scritto per un qualche numero di BancaNote, la newsletter di Banca Etica. Lo ripubblico soprattutto perché parlo bene di Maria Bonaria, che, come avrete capito, la sa molto più lunga di me.
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