Gufi. O comunisti. Così è (se vi pare…)
Non aderisco particolarmente all’idea che Renzi sia come Berlusconi, soprattutto perché, sebbene ci siano effettivi elementi di somiglianza fra le due figure, il modo di agire e il programma politico che portano avanti, temo che l’equazione troppo facile fissi il pensiero politico in una sorta di eterno istante immutabile impedendo di cogliere le specificità del presente. Per quanto simili possano essere Renzi non è Berlusconi e non lo potrà mai essere, e dimenticarlo può portare a perdersi nella proverbiale caccia alla volpe che non c’è, per quanto efficaci possano essere certe vignette.
C’è però una cosa di Renzi che mi ricorda, in maniera davvero irresistibile, Berlusconi: ed è il continuo riferimento ai “gufi”, termine generico con cui vengono etichettati tutti gli avversari.
Dei gufi si sa cosa sono: neghittosi, bastian contrari, attaccati ai loro privilegi fuori del tempo, speranzosi nel fallimento di Renzi e del suo rinnovamento anche a costo di spaccare l’Italia o di portarla al fallimento.
Soprattutto, i gufi sono stupidi: come i falliti storici le cui immagini affollavano la recente kermesse renziana della Leopolda, quelli che non hanno creduto nell’automobile, nel personal computer, in Picasso, in Walt Disney, nei Beatles. Credere in Renzi, sembrerebbe, è invece atto di preveggenza, espressione di saggezza e di buon senso.
Sarà.
Meno facile è capire chi, esattamente, siano i gufi, e anzi il nome esplicitamente non va mai fatto, altrimenti tutto l’effetto si perde. Perché indicare con precisione l’interlocutore comporta, forzatamente, di entrare anche nel merito delle sue argomentazioni e gli ascoltatori potrebbero in quel caso, non sia mai, scoprire che si tratta di argomentazioni fondate, o comunque non palesemente prive di motivazione.
Da un punto di vista comunicativo si tratta di un gioco affine alla polemica contro l’uomo di paglia, solo elevato al cubo e stilizzato fino a diventare quasi impalpabile: il gufo è più una condizione dell’animo che un essere reale, un essere mitologico, archetipico.
Questo dei gufi è un mantra spesso ripetuto da Renzi: il fatto che si tratti di una strategia intenzionale e ben ponderata e non di un elemento casuale è dimostrato anche dal fatto che alla Leopolda c’erano perfino in vendita le magliette, spostando il livello da una battuta ricorrente a un elemento di identità della base sociale.
Rispetto allo stratagemma dell’uomo di paglia utilizzato in un dibattito si ottengono infatti da strategie come queste una serie di vantaggi aggiuntivi: spirito di corpo, identità collettive definite per contrasto (voi gufi, noi invece…); se i gufi sono tiratardi e cagadubbi noi siamo bravi, fighi, decisionisti. E pensiamo con la nostra testa: infatti sarà per questo che abbiamo tutti la stessa maglietta (ok, questa è una cattiveria, lo ammetto). È per rafforzare questo spirito di identità collettiva che quando si adottano come avversari mitologici questo tipo di figure si ha sempre cura di sceglierle ridicole o caricaturali: per contrasto i nostri seguaci si sentiranno più belli, più forti, più liberi o, perlomeno, normali, e la normalità è, per definizione, il collante delle maggioranze.
Detto tutto questo, perché Renzi e i suoi gufi mi ricordano Berlusconi? Perché i gufi corrispondono esattamente all’avversario archetipico spesso evocato da Berlusconi, e cioè “i comunisti” (più esattamente, proprio perché l’avversario va caricaturizzato, quelli definiti dall’espressione: «siete dei poveri comunisti», cioè degli sfigati).
Anche lì era abbastanza chiaro cosa fossero i comunisti: poltroni, legati a ideologie passate, illiberali, oppressivi, perfino mangiabambini. Sporchi e pelosi, con poche possibilità di darsi al bunga bunga. Degli sfigati, appunto. Reliquie del passato, un passato da abbandonare in favore di un’Italia moderna, non a caso rappresentata plasticamene dal rutilante mondo delle televisioni private del cavaliere. Infatti i comunisti invece guardavano Tele-Kabul, presumibilmente in bianco e nero, popolata di programmi dell’accesso e documentari sui minatori toltechi. Che palle.
Non come noi, avranno pensato i sostenitori del Cavaliere, che partecipiamo dell’enorme flusso di ricchezza che promana dalle tasche del capo e abbiamo tutti donne facili in abbondanza, vacanze in Sardegna tutto l’anno e possiamo comparire facilmente in ospitate televisive che ci daranno fama eterna (e subito dopo altra ricchezza, altre donne facili in abbondanza e vacanze in casa di Putin).
Certo.
E anche lì non era mai chiaro fino in fondo chi fossero questi benedetti comunisti: perché per motivi diversi ma tutti piuttosto solidi né Prodi né D’Alema e nemmeno Bersani, tanto meno Monti, potevano proprio sembrare materiale da falce e martello.
Con lo spettro dei comunisti Berlusconi è andato avanti per parecchio, capitalizzando su quel residuo di anticomunismo che si era nascosto dentro la DC, e niente sembra implicare che anche coi gufi Renzi non possa tirare a campare a lungo, coagulando quel tanto di decisionismo che aleggia in Italia dai tempi di Craxi: via, andare, lavorare, che ci vorrà di così difficile a governare un paese: anche io, nel mio condominio…
Naturalmente, la propaganda non è la politica, perlomeno: non tutta la politica. Che Renzi e Berlusconi adottino strategie comuni non vuol dire che facciano la stessa politica. Per deciderlo servono altre analisi, e non riguardano lo scopo di questo articolo.
Ok, lo dico: si, fanno la stessa politica. In condizioni parzialmente diverse danno la stessa lettura della situazione italiana e, pur rispondendo a portatori di interesse che non sono necessariamente gli stessi, adottano le stesse soluzioni e si pongono uno sostanzialmente in continuità con l’altro (dove “continuità” non è “identità”, ovviamente).
Quattro righe su cui cui ci sarebbe da discutere per ore: quindi limitiamoci ai gufi e ai comunisti, va’.
Non mi piace la politica di Renzi (non ditemi che non l’avevate capito), ma sarei disposto a discuterne, compresa l’inconsistenza degli avversari, la possibilità che non abbia poi tante soluzioni alternative a disposizione, la presenza di blocchi di opposizione incistati sulle loro rendite di posizione, eccetera.
Sui gufi, invece, sebbene sia una cosa apparentemente minore, non transigo e basta da solo a orientare il mio voto.
Un po’ perché occorre sempre dubitare di chi usa le fallacie logiche: si tratta pur sempre di scorciatoie piuttosto spregiudicate e uno per i propri leader può desiderare che non mentano al popolo. Come vedete ci sono in giro una serie di parodie dei cartelloni della Leopolda che contrappongono ai mitologici falliti della storia là esibiti le giravolte, molto meno mitologiche, esibite da Renzi rispetto alle proprie posizioni e alle proprie promesse.
E poi, naturalmente, è lecito dubitare di un corpo politico in cui si trova soddisfazione dal mettersi tutti la maglietta uguale con la battuta del capo: perché uno da un partito può desiderare che non sia composto da cervelli portati all’ammasso. Perché poi capita che mentre si sta là alla Leopolda a ghignare sui gufi, ai quali essendo creature del pensiero nessuno fa nulla, nel mentre degli operai molto concreti vengono concretamente menati e nessuno ha qualcosa da ridire.
O no?
Soprattutto, però, c’è un problema educativo nei confronti del dibattito politico e dell’opinione pubblica. Di uomo di paglia in uomo di paglia, di creatura mitologica in creatura mitologica si finisce, sostanzialmente, per abituarsi a discutere di niente.
In maniera accesa, da tifosi, con sarcasmi, insulti e caricaturizzazioni: però sempre di nulla.
E un’opinione pubblica e un corpo votante che discute di nulla con toni accesi non è un presidio per la democrazia. È, scusate l’apoditticità, la premessa per la violenza politica o per la dittatura.
Tanto è vero che una politica che si nutre di slogan alla fine divora se stessa come la superbia, e dopo un po’ corri il rischio di non capire più nemmeno quello che dice, tanto è presa nelle proprie mitologie. Mentre cercavo le immagini per questo articolo ho trovato quella qui sotto: giuro che per un sacco di tempo non sono riuscito a capire se era un autentico manifesto della Leopolda o una parodia.
Alla fin fine non mi sembra necessario capirlo. Il problema è che è vero.
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