Fiabe senza amore
Naturalmente Bennato, che ho usato come commento musicale alla puntata di Oggi parliamo di libri dedicata alle fiabe, sbaglia: le favole non sono un gioco e soprattutto non sono vere soltanto a metà: nella misura in cui esprimono una saggezza collettiva sono, in un certo senso, più vere del vero.
Ma credo che presentandovi la puntata la cosa più importante non sia tanto discutere di Bennato quanto ammettere che questa è una delle puntate in cui mi sono più imprudentemente incamminato con poca preparazione su un terreno infido, cosa che avrei forse dovuto evitare per rispetto ad Enrica, che di fiabe ne sapeva davvero. Non è falsa modestia: il fatto è che sulle fiabe in realtà qualcosa di fondato da dire l’avrei avuto anche io, ma la puntata mi è un po’ cambiata in maniera inaspettata fra le mani, portandomi appunto su un terreno abbastanza traditore e sul quale, contrariamente al solito, ho detto in trasmissione cose sulle quali io per primo avevo dei dubbi.
Avevo inizialmente concepito la puntata come una prosecuzione naturale di quella sulla letteratura rosa (Rut è stato, come ho raccontato, un inserimento dell’ultimo minuto). Mi piaceva l’idea di confrontare le fiabe d’amore moderne (cioè i romanzi alla Harmony) con quelle tradizionali. Il fatto è che quando sono andato a prepararmi di fiabe “d’amore” sostanzialmente non ne ho trovato. Le fiabe mi servivano comunque per introdurre le puntate successive e quindi non me la sono sentita di eliminare la puntata; ma a quel punto ho dovuto fare una sorta di piroetta per giustificarne l’inserimento in una stagione dedicata alle storie d’amore.
Quali sono le cose che ho detto delle quali non sono convinto? Prima di tutto, soprattutto il fatto che dire che “fiabe d’amore non ne esistono” è un’affermazione piuttosto difficile da sostenere, o perlomeno richiede una conoscenza enciclopedica della fiaba mondiale – o almeno europea – che va oltre le mie competenze. Non è che non abbia ricontrollato un po’ di antologie: il fatto è comunque che ho davvero il dubbio che si tratti di antologie e raccolte parziali e che non rappresentino tutta le ricchezza e la diversità della narrazione orale delle classi subalterne europee.
Intendiamoci: mi sono riletto stamattina presto, sapendo di dover scrivere questo articolo, La bella e la bestia. Dopo la puntata, infatti, mi sono improvvisamente ricordato di questa fiaba, alla quale non avevo pensato, e mi sono chiesto se contraddicesse la mia tesi. Avendola riletta, mantengo la mia impressione: c’è nelle fiabe molta riflessione sull’ingresso nell’età adulta, sulle convenzioni sociali, sul senso delle cose, ma sull’amore abbastanza poco. C’è molta inquietudine, anche: rileggendo La bella e la bestia sono rimasto colpito dalla dimensione del timore della rovina improvvisa, di perdita della ricchezza economica (o perlomeno della sicurezza economica). Ci sono anche nelle fiabe sentimenti ambivalenti nei confronti della magia e della dimensione dell’inesplicabile; soprattutto c’è, credo, una tensione fortissima che riguarda le relazioni familiari, ma è molto più volta, mi pare, alle relazioni fra generazioni (padri e madri e figli e figlie e genitori putativi e sostituti, tutti volta a volta buoni o cattivi).
C’è tutto questo, però mi pare invece che l’amore sentimentale, romantico (ammesso che si possa usare questo termine ante litteram) davvero non ci sia. Lo so che è un’affermazione azzardata, ma non vedo alternative.
L’altra cosa che ho detto della quale non sono davvero per niente sicuro è il perché di questa mancanza. La spiegazione che ho dato, il fatto che le classi subalterne non potessero, per motivi molto materiali, permettersi un lusso che era riservato alle classi agiate temo che sia molto insoddisfacente, e lo ammetto volentieri: d’altra parte qualcosa in trasmissione andava detto e questa, sebbene in odore di un certo paternalismo, era comunque la spiegazione più robusta che sono riuscito a trovare. Nelle puntate successive, infatti, ho smesso di ragionare in questo modo, ma mi sono concentrato su quelle tensioni che le fiabe, le saghe e le narrazioni orali rivelano, riguardo all’amore e alla concezione che se ne aveva, e mi è sembrato un percorso di ricerca molto più soddisfacente: ne parleremo però al momento debito.
La mia sensazione è che la canzone di Bennato rappresenti il punto di vista dell’avvocato del diavolo. Visto anche che Bennato sul tema della favola si è essenzialmente costruito la carriera di cantautore.
😀
Eppure sai che forse non è un’affermazione tanto paternalistica; manca, nella lingua sarda, la possibilità di creare un linguaggio dei sentimenti in tutta la ricchezza dei toni. E, se pensiamo che amare si dice “stimai”, la radice economica alla fine sembra quasi dominante rispetto al sentimento. Magari avrò detto una castroneria anch’io, che di lingua sarda so davvero poco
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