Lo zelo per la tua casa mi divora
Credo di avere raccontato altre volte di tzia Caterina, la nostra vicina di casa di Orani. Tra le tante cose che ricordo di lei, ho ben presente che ogni mattina puliva l’uscio di casa e tutto il tratto di piazzetta antistante: spazzava la polvere e le foglie portate dal vento e lavava.
In paese è un fatto comune, che si mantiene attraverso le generazioni: vedo che lo fanno anche ragazze giovani. Un po’ nasce da un desiderio di decoro per la propria abitazione, un po’ è la disponibilità alla cura degli spazi comuni, quello che in paese è su bichinadu, che si tiene in ordine perché possa essere fruito da tutti, che esista o meno la pulizia comunale o che ci siano o no i cestini dei rifiuti.
È un segno che il senso di comunità è in buona salute, e quindi senz’altro un fatto positivo. Ma è un segno agito dentro precisi limiti: davanti a casa tua, sostanzialmente. Nessuna di quelle signore si metterebbe a spazzare non richiesta davanti a una casa altrui.
Mi sono ricordato di tzia Caterina e delle signore stamattina mentre andavo al lavoro e ascoltavo la radio, sentendo notizie di volontari che qui e là per l’Italia si reimpadroniscono delle loro città, soprattutto cancellando scritte e altra roba dai muri.
Viva la pulizia.
E ho pensato…
… la sparo grossa?
La sparo grossa.
Ho pensato che questi movimenti sono l’equivalente di sinistra, e quindi pulitino, ecologico, politicamente corretto, sostenibile, delle vecchie ronde leghiste.
Perché seguono la stessa logica securitaria: cosa preoccupava le ronde? Che per strada c’era gente strana, ggiovane, senza arte né parte, che puzza, disturba, magari è straniera e parla un altro linguaggio e sostanzialmente farebbe bene ad andare a lavorare o comunque ad andare a fare quel che gli pare ma da un’altra parte.
E le scritte? Sono ggiovani, disordinate, non si capisce bene a cosa servano, sporcano, disturbano, sono fatte in un modo che non c’entra niente con l’arte e il bello e sarebbe il caso che chi le ha fatte piuttosto andasse a lavorare e in ogni caso andasse a fare quel che gli pare ma da un’altra parte.
Le operazioni di “pulizia” sono sempre operazioni “d’ordine”, e quindi tendenzialmente repressive: di questa poi, che nasce dopo gli scontri di Milano, è impossibile non notare la funzione di costruzione di consenso per una parte e di isolamento politico per la controparte; e infatti Fedez – che Dio ci conservi a lungo Gianni Morandi – che ha provato ad abbozzare un ragionamento un filo più complesso ha subito ricevuto il perentorio invito a mettersi a pulire.
Qui si lavora, non si fa politica.
Le operazioni securitarie di sinistra sono sempre morbide, partecipative, coinvolgono i cittadini, fanno appello al senso civico e ai buoni sentimenti. Poi però sono pessime lo stesso: viene in mente la famosa Operazione Arcobaleno e la costruzione del consenso alla guerra. In Italia siamo meno abituati a riconoscerle, magari, perché la sinistra vince meno e quindi ha meno necessità di gestire consenso nelle crisi. Così riconosciamo di più le operazioni di destra: ma la radice è la stessa, ecco.
E sul filo di questo ragionamento esprimerei magari anche un filo di scetticismo su quei cittadini di Iglesias che domenica si sono messi a cancellare le scritte anti islamiche davanti alla biblioteca comunale: per carità, giustissimo, ma l’impressione è che non sia casuale che il decoro urbano che hanno voluto ristabilire sia legato a un tema politico “sensibile” e di attualità. Senza voler arrivare al “ma anche” veltroniano sarei pronto a scommettere che qualche bestemmione anti cattolico sui muri di Iglesias ci sia sempre stato e che non si siano mai costituiti comitati di cittadini per cancellarlo: magari perché il sapore sarebbe stato meno liberal.
Mi direte: ma allora sei per lo schifo? Per i cassonetti bruciati, i muri deturpati, quelli che fanno la pipì negli angoli dei muri, le cabine telefoniche divelte?
Ma quando mai.
Dico che le città hanno una loro complessità molto maggiore della piazzetta di su postu davanti a casa mia a Orani, che per tenerla in ordine basta che ognuno si pulisce l’uscio e se i ragazzini spezzano le viti delle pergole vado a parlare dai loro genitori, che magari sono miei figliocci, e gli faccio ristabilire l’ordine. Dico che non è un caso se le forme di governo avanzate nascono nelle città, perché questa complessità tipicamente urbana va regolata in maniera sofisticata. Banalmente, le città hanno polizia, operai comunali, nettezza urbana, regolamenti urbanistici e un po’ di altri strumenti ai quali è demandata la tutela del decoro collettivo, perché almeno un paio di millenni fa gli esseri umani hanno capito che alle città non possono bastare buone massaie (o squadre di cittadini) con la ramazza. Fingere altrimenti è mistificazione (e cattiva politica).
E dico che nelle città le comunità che la compongono – che sono le realtà che davvero vivono quel territorio – dovrebbero avere il diritto di gestire il loro ambiente come credono. Detto in altri termini: se gli abitanti di via San Giovanni a Villanova a Cagliari o della Barona a Milano o di qualunque altro quartiere si mettono a pulire le loro strade sanno cosa è il meglio per loro, sono una comunità che si autorganizza, va benissimo e vanno casomai aiutati e dotati di strumenti e risorse.
Se invece in un quartiere calassero squadre da altre zone della città, o se un paio di abitanti per conto loro si mettessero a decidere cosa può stare sui muri o per strada e cosa no – o cosa si può fare per strada – quello è decidere in maniera autoritaria e non va bene. Come le ronde, appunto, anche se si facesse con slogan tipo I love Canicattì.
Viene a fagiolo per illustrare il punto un episodio recente di Milano, dove leggo che un gruppo di volontari ha cancellato un murale da un parco pubblico (era quello dell’immagine che vedete sopra). Gli abitanti del quartiere, che l’avevano commissionato per abbellire un brutto muro, si sono arrabbiati: chi vi ha autorizzato? Venite a casa nostra a fare i comodi vostri?
Secondo me, ecco, c’hanno ragione loro.
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