Esperimenti, banane, scimmie e bufale
Gira periodicamente sul web un meme o un articolo che racconta di un presunto esperimento condotto con delle scimmie: di solito viene pubblicato per invitare la gente a “non fidarsi” delle verità precostituite e a lamentarsi del popolo bue… o del popolo scimmia (credo che sia stato proposto in questo senso perfino da Grillo. Perfino?!).
È (praticamente) una bufala, ma esattamente perché non è noto a tutti: penso quindi di fare un servizio pubblico traducendo un articolo di Psycology Today che entra nel merito e di passaggio rivela anche alcune altre cose interessanti. L’articolo è stato pubblicato nel 2012 e giace nei meandri delle bozze del mio blog almeno da sei mesi, ma non l’avevo mai tradotto prima perché mi pareva che la storia si fosse smontata: da poco invece il mio amico Andrea Assorgia mi ha segnalato che la storia gira di nuovo e allora mi sono deciso. Eccolo a voi.
P.S. Incredibile come due ricerchine sul web svelino che una cosa è una bufala in meno di cinque minuti, mentre tanti che scrivono meme non si prendono la briga. Chissà come mai… chissà chi davvero ha per obiettivo il popolo bu… ehm, scimmia.
P.P.S. Vedo che la bufala è stata già chiarita, a giugno 2015, da Bufale un tanto al chilo: come spesso accade ai debunker più o meno professionisti, con un linguaggio e uno stile di argomentazione che non apprezzo. Anche per questo ho preferito tradurre l’articolo.
Quello che le scimmie possono insegnarci sul comportamento umano: dai fatti alla finzione
Quando la creatività supera il limite
di Dario Maestripieri
In un articolo del 2011 sul blog di Psychology Today dal titolo Quello che le scimmie possono insegnarci sul comportamento umano [nel frattempo l’articolo è stato messo fuori circolazione dall’editore, NdRufus] Michael Michalko (MM) descrisse un esperimento che comprendeva cinque scimmie, una scala e una banana. La descrizione di questo esperimento si può trovare anche sulla rete, come risultato del fatto che è stato raccontato molte volte su diversi blog, libri o discorsi pubblici. Nella forma con la quale è descritto nella storia, tuttavia, l’esperimento non è mai avvenuto.
Nel suo articolo MM descrisse così l’esperimento:
Questo modo umano di non mettere in discussione le premesse mi ricorda un esperimento portato a termine da alcuni psicologi anni fa. Iniziarono con una gabbia che conteneva cinque scimmie. Dentro la gabbia appesero a un filo una banana con una scala al di sotto. Quasi subito una scimmia si avvicinò alla scala e iniziò a salire verso la banana. Appena fu sulla scala gli psicologi innaffiarono di acqua gelata tutte le altre scimmie. Dopo un po’ un’altra scimmia provò a prendersi la banana. Appena il suo piede si posò sulla scala tutte le altre scimmie furono innaffiate di acqua gelata. Non ci volle molto perché tutte le altre scimmie tentassero fisicamente di impedire a qualunque scimmia di salire le scale. A quel punto gli psicologi chiusero l’acqua, tolsero una scimmia dalla gabbai e la rimpiazzarono con una nuova. La nuova scimmia vide la banana e iniziò a salire la scala. Con sua sorpresa e orrore, tutte le altre scimmie la attaccarono. Dopo un altro tentativo e attacco prese atto del fatto che se provava a salire la scala sarebbe stata attaccata. Successivamente essi rimossero un’altra scimmia e la rimpiazzarono con una nuova. La nuova entrata si avvicinò alla scala e fu attaccata. Il precedente nuovo ingresso prese parte al pestaggio con entusiasmo! Allo stesso modo rimpiazzarono una terza delle scimmie originali con una nuova, poi una quarta, poi la quinta. Ogni volta che l’ultima scimmia arrivata provava salire le scale, veniva attaccata. Le scimmie non avevano idea del perché non gli fosse permesso salire sulla scala o perché picchiavano ogni scimmia che ci provava. Dopo aver sostituito tutte le scimmie, nessuna di quelle rimanenti era mai stata spruzzata di acqua gelida. E tuttavia nessuna altra scimmia si avvicinò più alla scala per tentare di prendersi la banana. Perché no? Perché per quanto ne sanno questo è il modo con cui le cose sono sempre andate da quelle parti.
MM poi conclude:
Le persone talvolta fanno lo stesso sul posto di lavoro. Quante volte avete sentito: «Si è sempre fatto così. Non scompigliare quello che già funziona bene». Invece di mettere in discussione le premesse molti di noi, come le scimmie, semplicemente continuano a riprodurre quello che è stato fatto in precedenza. È la cosa più semplice da fare.
In un commento all’articolo di MM, il primatologo Frans De Waal manifestò scetticismo sull’esperimento e chiese a MM se era in possesso di un riferimento scientifico per lo studio. In risposta al commento di un altro lettore MM scrisse il messaggio successivo:
CINQUE SCIMMIE. Questa storia si basa sulla ricerca di G.R. Stephenson (Stephenson, G. R. (1967) Cultural acquisition of a specific learned response among rhesus monkeys. In Starek, D., Schneider, R., and Kuhn, H. J. (eds.), Progress in Primatology, Stuttgart: Fischer, pp. 279-288) . Stephenson (1967) addestrò scimmie rhesus maschi e femmine a evitare di manipolare un oggetto e poi inserì singoli animali naif [naïve in inglese è “ingenuo” fino alla dabbenaggine, qui ovviamente vuol dire che l’animale non è stato sottoposto all’esperienza che gli altri hanno vissuto e ho scelto di renderlo con naif, NdRufus] in una gabbia con un animale addestrato della stessa razza e sesso e l’oggetto in questione. In un caso un maschio addestrato, durante il loro periodo di interazione, trascinò via effettivamente il suo compagno naif dall’oggetto precedentemente causa di punizione, mentre gli altri due maschi addestrati manifestarono quello che venne descritto come «espressioni facciali minacciose con una postura impaurita quando i maschi naif si avvicinavano all’oggetto. Quando posti da soli in una gabbia con il nuovo oggetto, i maschi naif mostravano una manipolazione dell’oggetto di lavoro grandemente ridotta rispetto agli animali del gruppo di controllo. Sfortunatamente l’addestramento e gli esperimenti non furono svolti utilizzando una procedura di differenziazione cosicché l’esatta natura dell’informazione trasmessa non può essere determinata, ma i dati sono di considerevole interesse. La sua ricerca ispirò la storia delle cinque scimmie. Alcuni credono che la storia è vera, mentre altri credono che sia un resoconto esagerato delle sue ricerche. Che la storia sia vero o no le sue ricerche pubblicate sulle scimmie rhesus, a mio parere, chiudono la questione.
Quindi MM apparentemente sapeva che lo studio di Stephenson non comprendeva una scala o una banana (questo aspetto della storia è ispirato da esperimenti con gli scimpanzé condotti da Wolfgang Kohler negli anni ’20), che le scimmie non venivano sostituite nel gruppo nel modo descritto dalla storia, che le scimmie non attaccavano l’individuo che tentava di salire la scala (per non parlare di prendere parte al pestaggio con entusiasmo) e che insomma nessuna scimmia non si avvicinò alla scala a tentare di prendere la banana perché per quanto ne sapevano questo è il modo con cui le cose erano sempre andate da quelle parti. Per quanto riguarda l’ultima nota di MM che la storia sia vero o no le sue ricerche pubblicate sulle scimmie rhesus, a mio parere, chiudono la questione io non potrei essere maggiormente in disaccordo. Quando le persone riferiscono di esperimenti scientifici su blog o libri il lettore si aspetta che questi resoconti siano veri. Se un autore vuole inventare una storia per dimostrare un punto dovrebbe informare esplicitamente il lettore che la storia è inventata. Se l’autore non è sicuro che la storia sia vera dovrebbe controllare le sue fonti o almeno avvisare il lettore che la descrizione dell’esperimento può essere imprecisa. In questo caso sembrerebbe che MM fosse in possesso della fonte originale dello studio e sapesse che non corrispondeva alla sua descrizione. Il vero esperimento non dimostrava nemmeno il fatto che MM voleva sostenere, che le scimmie semplicemente continuano a fare quel che si è sempre fatto sinora perché è la cosa più semplice da fare.
L’esperimento di Stephenson era uno studio del condizionamento alla paura appresa nel quale vari oggetti (stimoli condizionati, SC) erano accoppiati con un getto d’aria (stimoli non condizionati, SNC). Dopo il condizionamento un osservatore maschio era piazzato nello stesso ambiente del modello, dando all’osservatore la possibilità di osservare il modello comportarsi con timore in presenza dell’oggetto. Dopo successive prove in isolamento, tre su quattro degli osservatori mostrarono paura dell’oggetto, suggerendo che avessero appreso a temere l’oggetto dal comportamento del modello. Recensendo lo studio di Stephenson la psicologa Susan Mineka fece notare che quando venivano usati soggetti femmina Stephenson ottenne risultati contrastanti: modelli precedentemente timorosi persero la loro paura in conseguenza dell’osservazione del comportamento non impaurito dei loro osservatori. Mineka osservò che «… a prescindere dalle cause, questa [differenza nei sessi] solleva seri dubbi sulla robustezza del fenomeno». Studi condotti dalla stessa Susan Mineka dimostrarono che se si usava un serpente come stimolo condizionato la paura poteva essere appresa osservando il comportamento del modello, ma che questa associazione non avveniva se veniva impiegato un altro oggetto, come un utensile da cucina.
Ho chiesto al dott. Bennet (Jeff) Galef, uno psicologo comparativo che è esperto di apprendimento sociale negli animali, di commentare l’esperimento descritto da MM. Mi ha risposto
… mi pare molto improbabile che negli anni ’60 qualcuno con la limitata capacità sperimentale di Stephenson potesse concepire, progettare adeguatamente o portare a compimento con successo un esperimento del grado di sofisticazione come quello della storia che lei descrive. La storia riflette una combinazione del lavoro di Kohler con gli scimpanzé, di Jacob e Campbell (1961) con gli umani e di Curio e Mineka rispettivamente coi merli europei e con le scimmie. Che io sappia nessuno di questi elementi è stato combinato con uno degli altri in un singolo paradigma sperimentale fino al 1995.
Non so se la versione di fantasia dello studio di Stephenson sia sta creata da una singola persona o se ogni volta che questa storia viene ri-raccontata da una persona diversa qualche suo aspetto viene cambiato, aggiunto, o tolto, allo stesso modo con cui accade con le leggende. Ma qualunque sia stato il processo, sicuramente c’è stato moltissimo abbellimento creativo!
***
Qui finisce l’articolo di Maestripieri. Siccome ero curioso ho fatto qualche ricerca in più e forse sarei in grado di rispondergli su quale sia stato il percorso della storia prima di Michalko. Diverse fonti sulla rete sono concordi nell’indicare come origine della storia un libro sul miglioramento di sé per manager farlocchi: Competing for the future di Gary Hamel and C. K. Prahalad (1996). C’è almeno un tizio che dichiara di avere effettivamente letto il libro e che conferma che la storia è lì (bontà sua all’obiezione sulla non veridicità della storia dichiara che però almeno è verosimile – fra gli esseri umani). Hamel e Pralahad non hanno mai indicato la fonte, quindi nel 1996 Stephenson era verosimilmente fuori dell’orizzonte. La storia si è quindi diffusa in tutto quel mondo di consulenti d’impresa, formatori de noantri, motivatori, coacher e chi più ne ha più ne metta. Presumibilmente è là che l’ha scovata Michalko, che dovrebbe essere stato lui a tentare di rabberciare la situazione tirando in mezzo Stephenson. Più di recente vedo che la propongono con grande entusiasmo scettici, liberi pensatori, scientisti antireligiosi e compagnia.
Ah, a proposito: io lo studio di Stephenson l’ho letto. Sono una decina di paginette di rivista fra le più aride che abbia mai visto, ma l’esperimento – compreso il fatto che il comportamento delle femmine invalidava le conclusioni – è esattamente come dice Maestripieri.
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Istruttivo, in molti sensi.
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L’argomento è molto dibattuto scimmie a parte. La mia personale esperienza mi dice che adattarsi ai contesti così come si sono formati è più facile che provare a cambiarli se disfunzionali e questa non è una bufala ma la realtà.
Per la verità non è la realtà, ma un’opinione, magari istintivamente credibile, al massimo basata sulla esperienza (limitata e personale) di chi la sostiene. Ognuno può avere le sue opinioni, ovviamente, l’importante è che sia chiaro, appunto, che sono solo opinioni, perché (lo dico anche per i commenti via Facebook di sopra) non è che si può dire: «Va bene, è una bufala ma io continuo a considerarla una verità scientifica perché mi fa piacere pensarla così».
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