Selvagge storie di giungla urbana
Storie pazzesche (Relatos salvajes, Damián Szifrón, Argentina 2014)
Sono un po’ in imbarazzo, nel parlare di questo film recuperato nell’arena estiva di Villa Musas, perché qualunque cosa io dica rischio di rovinare la sorpresa dello spettatore ignaro, che è uno dei punti di forza del film.
È davvero difficile, però insomma: intanto si può dire che è un film a episodi, del tutto slegati fra loro (non ci sono nemmeno, ad esempio, personaggi secondari ricorrenti).
Poi, visto il trailer, si può dire che il film ha un tema ricorrente: delle situazioni di apparente normalità, magari con un filo di tensione iniziale ma insomma, non drammatiche, che prendono via via una china disastrosa fino a esplosioni di violenza efferata, disastri generali e dimostrazioni di ferocia inimmaginabili.
Si può anche dire (si deve dire) che è un film non adatto agli stomaci deboli: Maria Bonaria e la nostra amica Federica, che si aspettavano tutt’altro film, alla fine del secondo episodio sono uscite di corsa. E però non è un film da pugno nello stomaco: io e il marito di Federica, che siamo rimasti, ci siamo fatti delle risate di cuore fino alla fine: perché il film in realtà vuol essere una commedia di costume e per essere sufficientemente corrosivo fa marinare la sceneggiatura in uno humour nero che più nero non si può.
Le inaspettate deviazioni comiche di una storia nerissima, o le derive splatter dela satira (sono vere tutte e due le categorie) collegate auna robusta impostazione di critica sociale ricordano parecchio un film come I mostri di Risi: ma è un film che non farei mai vedere a mia mamma, perché le le vecchie signore di sinistra che volessero vedere il film attratte da questo paragone rischierebbero di confondere la necessità del XXI secolo di essere sopra le righe, molto sopra le righe, con la mancanza di senso morale (potrebbero anche prendersi un colpo alla prima comparsa di coltelli e mazzuoli, probabilmente).
E infine si può dire che è un film profetico: la cosa sarà più comprensibile dopo che guardate il primo episodio, ma non fatevi fuorviare. Il film non ha questa caratteristica perché mete su schermo con un anno di anticipo un notissimo fatto di cronaca, ma perché trae in maniera rigorosissima le sui conclusioni rispetto ai nostri modi di gestire le relazioni sociali, e quindi descrive con assoluta precisione in che modo tragico possono andare a finire quelle convenzioni se solo appena appena si attenuassero i vincoli sociali, come può accadere sotto stress, per esempio: niente di che, solo un sassolino che salta e, zac!, la frana e la catastrofe.
Infine una nota cinematografica: non ho abbastanza cultura cinematografica per individuare tutti i riferimenti ma mi pare che ci sia un gioco interno rivolto allo spettatore cinefilo, per il quale ogni episodio fa riferimento, in maniera indiretta, a un genere o a un film famoso (facciamo un esempio: Duel). Il riferimento al film famoso esiste solo nelle premesse, poi Szifrón trae autonomamente le sue conclusioni che possono discostarsi anche parecchio dal riferimento originale, ma il gioco dei rimandi deve essere piuttosto divertente per chi è in grado di coglierli. A me resta l’osservazione, che credo interessante, di come lo humour nero per funzionare abbai bisogno di contaminarsi con altri generi e riferimenti, come se da solo non riuscisse a mantenersi: una cosa di cui non sono sicurissimo e sulla quale forse ritornerò ancora.
l’episodio delle macchine e uomini è forse il più bello, la festa di matrimonio insopportabile, un esercizio di stile, vi faccio vedere quanto sono bravo, sembra dire in regista.
meno male chel’Oscar non lìha visto neanche da lontano,
“ida”, che ha vinto, e “Leviathan” battono “Relatos salvajes” 1000 a 1.
Non ho visto gli altri due film che citi, ma forse sull’episodio del matrimonio sei troppo duro. E comunque rimane un film interessante, no?