Esegesi estemporanea della contabilità
Il fatto che in un municipio che fu a suo tempo dedicato a Gesù Cristo Re venga esaltato chi ha fatto pratica costante di ateismo ed è stato sepolto senza rito religioso, ci sembra una grave contraddizione e un pessimo esempio, esaltando la figura di un nemico di Cristo che, per ciò stesso, non può in nessun modo rappresentare un messaggio universale di giustizia.
Chi scrive queste righe, nel 1957, è Luigi Gedda, allora potentissimo Presidente dell’Azione Cattolica, insieme con l’Assistente Ecclesiastico, mons. Castellano.
Destinatario della lettera è Giorgio La Pira, sindaco di Firenze. L’occasione è data dal fatto che in Palazzo Vecchio è stato commemorato solennemente Piero Calamandrei, morto pochi mesi prima. Calamandrei è stato, anche se brevemente, sindaco di Firenze, ed è stato importante esponente della Resistenza e dell’Assemblea Costituente: che venga commemorato nella “sua” casa comunale può apparire normale, ma Gedda e Castellano, impegnati in una crociata per la riconquista cristiana della società italiana e in un confronto frontale con qualunque opzione culturale diversa, non possono accettarlo.
E poi, probabilmente, l’occasione per colpire La Pira, esponente di una visione di cattolicesimo radicalmente diversa, è fin troppo ghiotta.
Parentesi: in tanti anni che milito in Azione Cattolica mai una volta, mai e poi mai, ho inteso parlar bene di Gedda, che pure fu grandissimo organizzatore e presidente per trent’anni. Nessuno dei più anziani, che aveva conosciuto l’epoca, neppure fra coloro che potevano ritenersi vicini a lui politicamente, ne rimpiangeva i tempi. In molti casi c’era una vera e propria acrimonia, negli altri casi almeno il ricordo di una sorta di cappa di piombo su una vita associativa magari per altri versi vivace e anche molto “libera”: e il tema non era soltanto la forte pressione di conformità che era tipica dell’epoca, il risentimento riguardava proprio la figura spigolosa e spietata di Gedda in persona.
Episodi come quello che racconto spiegano il perché, credo.
Comunque La Pira, come era suo stile, rispose. Indirettamente scrivendo e riscrivendo a una serie di figure chiave in Vaticano, per contrastare la corrisponderete offensiva epistolare di Gedda (nel caso specifico, probabilmente fu Gedda che alla fine segnò il punto). E direttamente, con molta durezza, allo stesso Castellano. Puntigliosamente elencò i meriti culturali e scientifici di Calamandrei, la sua dirittura morale e il rilievo intellettuale. E poi, con uno stile che va al concreto e che è caratteristico di La Pira, aggiunse che nell’anno tale Calamandrei mi ha dato tot lire per la messa di San Procolo, e nell’altro tal anno me ne ha dato un altro tot, e così via. La Pira faceva tante cose ma alla fine la radice della sua azione era nella “sua” messa dei poveri, ai quali rimase sempre fedele, e tutto veniva alla fine misurato su ciò che veniva loro dato – o veniva tolto. Una contabilità della grazia che, vista a distanza, è esattamente opposta alla occhiuta contabilità del peccato di Gedda… e tanto più liberante.
L’episodio è stato ricordato brevemente nel corso del recente incontro Spes contra spem, che ha riunito a Firenze tutti i vari gruppi e associazioni intitolati a Giorgio La Pira. Mentre ascoltavo fra il pubblico mi veniva in mente che nell’occasione era certo più aderente al Vangelo La Pira, non in senso generico, ma proprio testuale: basta chiedersi, nel brano sul giudizio esposto dallo stesso Gesù, in quale gruppo entrerebbe Calamandrei:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra: “Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?” E il re risponderà loro: “In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me”. Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: “Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; fui straniero e non m’accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in prigione, e non mi visitaste”. Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: “Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?” Allora risponderà loro: “In verità vi dico che in quanto non l’avete fatto a uno di questi minimi, non l’avete fatto neppure a me”. Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna» (Mt 25,31-46).