Umorismo grassoccio
Il Miles Gloriosus – prima parte
Il Miles Gloriosus – seconda parte
Io e Plauto
Non ho avuto il coraggio di riprendere il latino del liceo per provare Plauto in lingua originale.
Può darsi che sia dovuta anche a questo una certa freddezza provata alla conclusione della lettura del Miles, confermata anche dopo avere sbirciato l’Aulularia e che credo traspaia da queste due puntate.
Può darsi cioè che la freschezza della lingua originale e i giochi di parole mi avrebbero reso più piacevole l’esperienza di lettura.
Oppure può darsi anche che mi sarebbe stata più congeniale la vivacità degli equivoci di Menecmi e Anfitrione: quest’ultima l’ho vista mille volte a teatro e in televisione e chissà perché invece ho pensato che il Miles fosse più rappresentativo e ho deciso di farci sopra la trasmissione.
O può darsi infine che si confermi il fatto che sono un cialtrone dilettante della radio che parla di uno dei maggiori commediografi esistiti dopo avere riletto una commedia e mezzo e con vaghi ricordi scolastici e di un altro paio di opere viste in teatro teatrali.
Però insomma: la lettura del Miles Gloriosus mi ha lasciato piuttosto freddo.
Credo sia dipeso soprattutto dalla complessiva amoralità della trattazione dei sentimenti dei protagonisti e delle loro vicende – quando non sia più preciso parlare direttamente di cinismo – e dalla intenzionale “bassezza” di tutti i personaggi posti in scena. Il mondo di Plauto è un mondo di imbroglioni, di seduttori impenitenti, di prostitute e traditori e alla fine mi sono sentito respinto.
Volevo anche dirlo in trasmissione e sottolineare che però il poeta è improvvisamente capace di riscattarsi con toni sentimentali inaspettati, come quando Filocomasio incontra finalmente il suo innamorato:
FILOCOMASIO Occhi miei, anima mia!
PALESTRIONE (a Pleusicle) Attento! Sorreggila, la ragazza, che non cada.
PIRGOPOLINICE Che c’è, dimmi.
PALESTRIONE Poiché deve strapparsi da te, la miserella, d’improvviso si è sentita mancare.
PIRGOPOLINICE Precipitati, porta dell’acqua da casa.
PALESTRIONE Niente acqua, non serve. Preferisco che si riposi un po’. Non far nulla, ti prego, sin che non si sia ripresa.
PIRGOPOLINICE Le teste, le tengono troppo vicine, quei due. Non mi va. Marinaio, via le tue labbra dalle sue. Tu stai cercando guai.
PLEUSICLE Cercavo di capire se respira o no.
PIRGOPOLINICE Bastava accostar l’orecchio.
PLEUSICLE Se preferisci, la lascio andare.
PIRGOPOLINICE No, sorreggila.
PLEUSICLE Ma io la lascio andare volentieri.
[…]
FILOCOMASIO Che succede? Che è? Che cosa vedo? O luce, ti saluto.
PLEUSICLE Ti saluto. Ti sei ripresa?
FILOCOMASIO Vi prego! Chi era l’uomo cui ero abbracciata? Sono morta! Sono fuori di me?
PLEUSICLE Non aver paura, gioia mia.
Solo che poi mi sono chiesto – in mancanza di indicazioni di scena – che cosa fosse previsto che facessero gli attori, dal punto di vista fisico, mentre pronunciavano le battute, e improvvisamente la sentimentalità del momento è retrocessa sullo sfondo. D’altra parte il seme del dubbio era gettato e così ho preferito accennare soltanto al tema e concentrarmi di più su altre cose.
Il mondo del sottoinsù
Come avrete sentito una buona parte della prima trasmissione è stata dedicata alla dimensione religiosa della commedia: nel caso di Plauto è un pochino un’iperbole, ma credo fosse giustificata dal tentativo di inquadrare l’autore di turno in un contesto più ampio.
D’altra parte mi serviva anche per potere introdurre qualche riflessione sulla forma teatrale: l’insistito riferimento alle sagre di paese, agli spettacoli dei comici di giro mi sembra tuttora che suggerisse una attenzione di lettura fruttuosa e offrisse una chiave di lettura utile anche a cavarsi dall’impiccio delle presunte fonti plautine e di quali siano gli autori greci dai quali ha copiato, e che cosa.
Detto in altro modo: se a noi moderni non fa problema che alla festa di Santa Maria dopo la messa solenne e la processione ci sia lo spettacolo del comico di Zelig di turno, perché doveva far problema agli antichi l’inserimento di questo tipo di comicità in un contesto religioso? E se il comico di Zelig presenta uno spettacolo pieno di gag già viste in televisione e il pubblico lo apprezza, perché gli antichi non avrebbero dovuto apprezzare una commedia formata con gag prese di peso da Menandro? Leggere Plauto con queste domande in testa può portare, suggerisco, a delle risposte interessanti. In un mondo ideale potrebbe perfino portare a rappresentare Plauto alla prossima festa di Santa Maria.
E poi facendo questo discorso ho potuto dire apotropaico: adesso mi mancano solo metempsicosi, psicostasia ed escatologico (e magari una figura retorica come la sinestesia) e posso andare in pensione. Anche cornice epistemologica non sarebbe male, a pensarci.
La politica mancante
Un discorso che invece non ho fatto per mancanza di tempo è il cambio di prospettiva – evidentissimo, ma a scuola non me l’avevamo mai detto – che intercorre fra Aristofane e Plauto, via Menandro e la commedia nuova: niente più critica sociale, niente più critica politica, generici accenni al malcostume (ma Pirgopolinice che alla fine augura la giusta punizione agli adulteri davvero non si può sentire) e un po’ di macchiette messe alla berlina: si vede che ai Diadochi e ai loro successori andava bene così e che il liberale popolo romano si è ben volentieri uniformato.
A occhio (ma non avevo avuto il tempo di verificare e quindi mi sono prudentemente tenuto alla larga) dovrebbe anche dipendere dalle leggi censorie del liberale popolo romano l’ambientazione greca (che più o meno equivale al nostro: ogni riferimento…) e la curiosa acrobazia per la quale le donne che compaiono in scena sono tutte cortigiane – vivaddio, non rispettabili matrone – ma sempre nate libere – vivaddio, non sia mai che si contamini il sangue del pater familias con innesti servili. Sarebbe stato interessante approfondire, ma non ho avuto il tempo.
Una macchina teatrale formidabile
Alla fin fine, però, e conclusi tutti gli altri discorsi, al termine della lettura del Miles Gloriosus c’era una dimensione del genio di Plauto che trovavo innegabile e che davvero mi ha impressionato: una scrittura magistrale non tanto comica in sé quanto al servizio della comicità.
Voglio dire che raramente ho trovato nel Miles battute che spontaneamente mi abbiano fatto ridere (ripeto: magari in latino sarebbe stato diverso). Ma mentre leggevo provavo a immaginarmi come le stesse parole e scene mi sarebbero apparse sul palco, e allora il discorso cambiava: sostenute da una fisicità esuberante, accompagnate da ammiccamenti continui al pubblico e da sfondamenti della quarta parete, contrappuntate da gesti che magari negassero la lettera di quel che l’attore sta pronunciando non facevo fatica a “vedere” come quelle battute potessero diventare sul palco una continua fonte di comicità.
Una comicità grassoccia, volgare il giusto (e anche più) e facilmente macchiettistica, come ho provato a dire, affine magari a certi nostri comici dialettali.
Però (però?!) perfetta.