Troppo da perdere
Riflettevo in questi giorni ai tempi beati in cui non avevo il carico di nessuno.
Lo dico dal punto di vista associativo o politico, naturalmente, anche se la cosa si applica anche all’ambito familiare: è quella situazione per la quale prima di fare una cosa ti senti costretto a considerare le possibili conseguenze e implicazioni.
Lo ammetto: ho molto da perdere, o da far perdere agli altri, e quindi anche quando non sembra sono sempre molto misurato (o studiatamente spontaneo).
Vale anche qui sul blog: vi confesso che anche quando appaio un po’ fuori dalle righe spesso mi sono fatto prima mille domande e ho stabilito freddamente fin dove mi posso spingere. Se critico quella amministrazione pubblica o quel bando al quale i Fabbricastorie devono partecipare, sto danneggiando i miei compagni impedendoci magari di realizzare un gioco che vorremmo tanto fare? Se parlo del tale o talaltro meccanismo interno di Banca Etica, corro il rischio di dare impressioni sbagliate a chi ha della finanza una conoscenza imperfetta e quindi di creare un danno reputazionale alla Banca? Ma anche se non parlo di un argomento di stretta attinenza a una delle organizzazioni di cui faccio parte sono cosciente di rischi possibili: se facessi per errore una battuta, che so? sessista, potrebbero esserci ricadute? E fin dove? Boicottiamo il gruppo La Pira dell’Azione Cattolica perché il marito della responsabile è un porco sciovinista? Se chissà perché metto un like a chissà cosa, poi potrebbero venire a cercarmi con un machete telematico?
Un po’, come sappiamo, è il meccanismo della vasca dai pesci rossi indotto dai social e dalla rete: tutto è letto da tutti, tutto rimane in eterno. Magari fra un decennio sarò un indipendentista di punta e improvvisamente qualcuno verrà a rimproverarmi un vecchio post in senso contrario.
Un po’, semplicemente, è una cosa naturale connaturata all’essere adulti e quel che dovrebbe stupire, semmai, è che ci siano così tante persone che non hanno alcun problema a scrivere o fare cose molto discutibili senza alcun pensiero sulle possibili conseguenze.
Qualche volta, però, avere così tanto da perdere, sentire che ci sono persone che in qualche modo dipendono dalle mie prese di posizione pubbliche mi pesa, davvero. Mi pesa il calcolo. Mi pesa il sentirmi un po’ gelido. Rimpiango i bei tempi di quando ero un cane sciolto e se andavo a un dibattito pubblico prendevo il microfono e dicevo quel che mi pareva. Una volta, pensa, mi misi a insegnare il Concilio al vescovo Tiddia. Avevo vent’anni: l’Azione Cattolica non cadde nella fossa, effettivamente, ma perché non contavo niente.
Poi sono diventato adulto.
Che palle.
Oh, certo: l’alternativa era peggiore…