La perplessità del cuore
Varrà davvero la pena di parlare (e soprattutto di leggere) di Vittorio Alfieri e del Saul? Un’opera fuori del nostro tempo, probabilmente, eppure con un taglio inaspettatamente moderno.
Saul – Vittorio Alfieri
Metto in linea oggi la puntata di Oggi parliamo di libri dedicata al Saul di Vittorio Alfieri, che prosegue il quartetto di trasmissioni dedicate alle tragedie fra il Seicento e il primo Ottocento: Corneille, Racine, Alfieri e, prossimamente, Manzoni.
Mia madre, che come sapete è la mia prima ascoltatrice, sostiene che quest’anno parlo di cose che non legge nessuno. Può essere vero, anche se in realtà in un paese come il nostro nel quale già si legge poco tanto meno c’è qualcuno che legge teatro: Shakespeare sarà certo più noto ma, complessivamente, quanti lettori in più avrà di Alfieri? Lettori, attenzione, non spettatori.
Ecco.
Naturalmente non è questo il problema; quel che ci si deve chiedere è se vale la pena di leggerlo. Non è poco lo sforzo richiesto dall’inoltrarsi negli endecasillabi di Alfieri, che un po’ al lettore ingenuo come me sanno di stanca riproposizione dell’Ariosto senza l’energia e la vivacità di quello e senza neppure il sostegno dell’ottava rima: è uno sforzo rilevante che rende spregiudicato il mio suggerimento di adattare l’opera a una recita oratoriana – beh, un pochino spregiudicato, dai.
Uhm, ho dato un’occhiata su Google al tipo di teatro che usa in parrocchia di questi tempi. Ok, il mio è un invito molto spregiudicato.
A rendere affascinante l’opera d’altra parte non aiuta neanche la trama: manca un cattivo vero – Abner non è certo Iago – e manca un incedere delle vicende che rapisca lo spettatore, Micol e Gionata sono troppo monodimensionali per suscitare la commozione necessaria e tutti i personaggi troppo portati alla declamazione: è un closet drama, del resto, e questo si sente fin troppo.
E allora perché il Saul?
Per due motivi, che ho trovato nel commento stesso di Alfieri alla sua tragedia e che pertanto vi riporto nelle parole dell’autore in persona:
In questa tragedia l’autore ha sviluppata, e spinta assai più oltre che nell’altre sue, quella perplessità del cuore umano, così magica per l’effetto; per cui un uomo appassionato di due passioni fra loro contrarie, a vicenda vuole e disvuole una cosa stessa. Questa perplessità è uno dei maggiori segreti per generar commozione e sospensione in teatro. L’autore, forse per la natura sua poco perplessa, non intendeva questa parte nelle prime sue tragedie, e non abbastanza ha saputo valersene nelle seguenti, fino a questa, in cui l’ha adoprata per quanto era possibile in lui.
Si sente in Saul questa perplessità, che è ambiguità e ambivalenza e un’ampia gamma di sfumature psicologiche che rendono il personaggio (e i suoi dialoghi) meritevole di essere letto e riletto – anche Abner è perplesso, d’altra parte. E Alfieri, con quella sua autoironia
L’autore, forse per la natura sua poco perplessa
mi è subito diventato simpatico.