Potrei lavorare a Internazionale
Forse no. Ma questa settimana la rivista presenta un articolo che io avevo già tradotto qui, quindi sono moderatamente orgoglioso.
Impreziosito da una bella copertina di Gipi (Internazionale si conferma osservatrice attenta del fumetto italiano) il numero di questa settimana traduce dal Guardian un editoriale dal titolo Benvenuti nell’era di Trump, articolo che avevo proposto qui la settimana scorsa. Vuol dire che ho avuto occhio (e prima di me Domenico Licheri, che mi aveva segnalato l’articolo).
La cosa più interessante per me (e un salutare bagno di umiltà) è stata confrontare la mia traduzione con una professionale, che obiettivamente risulta straordinariamente più scorrevole, più… bella, in una parola, anche se molto, molto meno aderente al testo (se penso che ogni volta che mi prendo una libertà nel tradurre mi sembra di commettere un crimine). Non mi era mai capitato di leggere un testo tradotto da me in parallelo con lo stesso tradotto da altri e l’ho trovata un’esperienza molto interessante – e poi ho visto che ha tradotto l’insulto indirizzato a Ted Cruz he’s a pussy! come ho fatto io – «È una fighetta!» – e, devo ammetterlo, mi sono sentito molto orgoglioso.
Casualmente Internazionale affronta anche, nella sua versione web, un dubbio che avevo espresso introducendo l’articolo, e cioè il fatto che si collegasse troppo raramente il fenomeno Trump al caso italiano di Berlusconi. Un articolo di Oliver Meiler sostiene che Paragonare Donald Trump a Silvio Berlusconi è sbagliato: lo fa secondo me accampando motivazioni piuttosto deboli e che fanno riferimento piuttosto al metodo seguito dai due – e a quelli utili per combattere Trump – che alla loro genesi sociale e ideologica – sui preoccupa cioè piuttosto di tattica che di strategia – ma la lettura è nonostante questo molto interessante e la consiglio vivamente.
potresti, potresti… lavorare a Internazionale
Troppo buona, Vale