Dispiacere
Stamattina mi sveglio con la notizia di decine di morti a Istanbul.
Non so come dire senza essere retorico: mi dispiace molto. Davvero tanto.
E non voglio unirmi al coro di altre volte, il coro di quelli che dicono: per Parigi tanta emozione, e invece adesso…, ma vedo che l’emozione che provo non sembra permeare i miei amici e contatti. Non è obbligo, ovviamente, e cominciamo a essere tutti anestetizzati, ma io, che altre volte mi sono ben guardato dal Je suis Charlie, lo volevo dire, che mi dispiace.
Forse Hikmet non è proprio il poeta più in sintonia con l’attuale regime turco e forse anche con la cultura turca attuale, ma è quello che avevo. E poi è lui che ha scritto: La nostra terra, la Turchia / è un bel paese / tra gli altri paesi / e i suoi uomini / quelli di buona lega / sono lavoratori / pensosi e coraggiosi.
Così, insomma, stamattina mi è venuto in mente l’anziano poeta turco in prigione e sofferente:
Angina pectoris
di Nazım Hikmet
Se qui c’è la metà del mio cuore, dottore,
l’altra metà sta in Cina
nella lunga marcia verso il Fiume Giallo.
E poi ogni mattina, dottore,
ogni mattina all’alba
il mio cuore lo fucilano in Grecia.
E poi, quando i prigionieri cadono nel sonno
quando gli ultimi passi si allontanano
dall’infermeria
il mio cuore se ne va, dottore,
se ne va in una vecchia casa di legno, a Istanbul.
E poi sono dieci anni, dottore,
che non ho niente in mano da offrire al mio popolo
niente altro che una mela
una mela rossa, il mio cuore.
È per tutto questo, dottore,
e non per l’arteriosclerosi, per la nicotina, per la prigione,
che ho quest’angina pectoris.
Guardo la notte attraverso le sbarre
e malgrado tutti questi muri
che mi pesano sul petto
il mio cuore batte con la stella più lontana.