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Vecchietti e canzoni

Cinque tequila ( Jack Zagha Kababie, Messico 2014)

È un po’ fuorviante, il trailer di Cinque tequila: gioca su assonanze western che non esistono, in questa commedia agrodolce messicana, e suggerisce un ritmo esilarante che in realtà alla visione si scopre essere piuttosto meditativo.

Se non ho capito male, “cinque tequila” è quel che si ordina quando ci si vuole ubriacare e alle prime scene è quel che si fa portare al tavolo, durante una partita di domino, il vecchio e debordante don Pedro, sotto gli sguardi attoniti dei suoi tre amici Emiliano,  Benito e Agustín: perché sopra gli ottant’anni, presi da malanni e pillole e pilloline, ubriacarsi non è proprio la cosa migliore da fare. Ma Pedro sta morendo e vuole andarsene in bellezza: prima, però, vuole estorcere ai suoi amici la promessa che dopo la sua morte porteranno un cimelio personale, un autografo del grande José Alfredo Jiménez con la prima versione di una sua famosa canzone, al museo dedicato al cantante nella cittadina settentrionale di Dolores Hidalgo nello stato del Guanajuato.

Ovviamente arrivarci non sarà semplice. Siamo dalle parti del film di viaggio, ma i road movie possono assumere molte forme diverse e anche impreviste: qui siamo, forse, dalle parti di Una strada vera di Lynch (citato quasi esplicitamente nella scena del viaggio sulla macchina asfaltatrice). I tre anziani fronteggiano una dissoluzione fisica – in quanti road movie i ritmi di viaggio sono determinati dalle esigenze della prostata? – che minaccia di farsi interiore: due sono vedovi e hanno figli  che gli sono avversi, e tutti dovranno chiedersi, ogni giorno, perché continuare a vivere. Non a caso emerge man mano come protagonista il perdente Emiliano, che non ha figli ma che a un obiettivo di vita, invece, si tiene ben stretto.

Il paese che i vecchi attraversano – tutto descritto in minore, attraverso una galleria di incontri e situazioni bizzarre – fronteggia in qualche modo un identico cambio di passo: ci si chiede se Dolores Hidalgo, culla della nazione perché vi fu proclamata per la prima volta l’indipendenza nonché città natale del citato José Alfredo Jiménez, non sia agli occhi dello spettatore messicano una destinazione bizzarra e inutilmente magniloquente, come chi in Italia si mettesse in strada per un pellegrinaggio a Barletta o, che so, Pontida o qualche altro luogo simbolo della ormai vetusta retorica risorgimentale. Rimane in sottofondo il Messico “moderno” di oggi – i personaggi incontrati in campagna sembrano piuttosto relitti del passato, ma certo il paese va avanti e in esso, sembrerebbe, non c’è posto per i tre anziani e, probabilmente, neanche per la loro musica. Si intuiscono, in realtà, una serie di sottotesti che probabilmente sfuggono del tutto allo spettatore straniero: pensate a come cambierebbe il senso della storia se in un film corrispondente in Italia il cantante in questione fosse Domenico Modugno, Nilla Pizzi o Claudio Villa (parentesi: un altro sottotesto non proprio evidente è quello delle citazioni cinematografiche: detto di Lynch, mi sono chiesto se la scena nel bordello sull’autostrada – ebbene si – non richiamasse intenzionalmente Dal tramonto all’alba, e c’è ogni tanto un cavallo bianco che sembra l’unicorno di Blade runner).

Cinque tequila è un film corale, recitato da tre attori principali di bravura mostruosa – ben assistiti da una serie di splendidi comprimari, soprattutto le figure femminili – serviti da una sceneggiatura di ferro che dà a ciascuno i suoi spazi e intreccia le loro vicende in maniera equilibrata sfruttando i vari incontri e relazioni con i personaggi secondari per approfondire man mano ciascuno dei protagonisti. Proprio la sceneggiatura, peraltro, ha dei curiosi inserti fantastici – fantasmi e ritornanti – che in parte servono alla trama, compreso il fatto che forse a una certa età la realtà assume conformazioni sue proprie, ma che per altri aspetti fanno davvero a cazzotti con tutto il resto.

Vedo che una parte della critica straniera ha sottolineato l’alterità di un film come questo rispetto a una filmografia messicana da esportazione basata su film polizieschi o drammatici molto violenti; ma invece vedo una recensione locale che sottolinea una linea crescente di film messicani dedicati alla terza età (la recensione, per chi capisce lo spagnolo, è interessante anche perché inquadra Cinque tequila come un buon film commerciale con standard di qualità, non come un prodotto artistico esotico come probabilmente sarà percepito dal pubblico europeo).

Una nota finale: il titolo originale del film è En el último trago, che più o meno si traduce come l'”ultimo brindisi” ed è il titolo di una canzone di José Alfredo Jiménez.

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