Čechov, che cultura
Diciamolo subito: Il giardino dei ciliegi è bellissimo. Non l’avevo mai letto (anzi: mi ero sempre guardato bene) e avevo dell’opera un’idea molto strana, mediata da fonti forse anche un po’ improbabili, come Turné di Salvatores.
Avevo deciso però da almeno un paio di mesi prima della puntata che analizzando la crisi del teatro borghese sarei arrivato ai russi, presentando almeno Čechov se non anche Turgenev (e il piano era poi quello di arrivare a Ibsen e quindi entrare a vele spiegate nel ‘900 con almeno alcuni autori esemplari di tendenze di un teatro rinnovato, Pirandello, Brecht e Pinter di sicuro e probabilmente Tennessee Williams, Beckett e Miller, poi ho scoperto che le puntate terminavano un mese prima di quel che credevo…).
E quindi mi sono letto Čechov facendo lo sforzo di immaginarmi la messa in scena, leggendo i dialoghi come pronunciati dagli attori, cercando di visualizzare movimenti e azioni sceniche.
Mi sono divertito moltissimo, anche se ogni tanto la tristezza per questi destini incompiuti o per queste vite sprecate mi toglieva il fiato.
Di questo dissidio ho provato a dare conto in trasmissione, insieme trasformandolo in una chiave di lettura, scherzando un po’ sulla supposta incomunicabilità ma anche segnalando lo spazio di libertà lasciato all’attore perché scavi la battuta che gli è affidata fino a tirarne fuori il significato che desidera. Spero di essere riuscito a dare della mia esperienza di lettura un resoconto che inviti anche altri a leggere (o almeno ad andare a vedere) Il giardino dei ciliegi (o anche Zio Vania).
Il giardino dei ciliegi – Anton Čechov
Due note finali. La prima è che mentre leggevo mi sono reso conto che a rigor di termini non è corretto parlare di dramma borghese per Il giardino dei ciliegi, tanto meno di “crisi” del teatro borghese: i protagonisti fanno parte di una famiglia nobiliare e uno dei temi portanti è il crollo di un modo di esistenza aristocratico a fronte dei nuovi stili di vita e di consumo borghesi (i turisti, la villeggiatura, l’ex servitore che acquisisce la tenuta dei vecchi padroni): e tuttavia il senso di insicurezza che spira ovunque, i limiti evidenti dell’istituzione familiare, il senso di crisi di un ordine consolidato delle cose penso permettano di inserire la puntata nel filone costituito da quelle precedenti senza forzature.
La seconda osservazione riguarda il brano musicale che ho utilizzato come pausa, peraltro bellissimo. Ma si poteva anche usare con profitto I’m afraid di Roberto Ciotti, che è nella colonna sonora di Turné: ve la propongo qui.
…ma nel giardino il beccaccino c’e’ davvero?
?!
…mi pare di ricordare che in Turne’ quando durante le rappresentazioni Bentivoglio non si ricorda le battute Abatantuomo lo trascina da parte per ricordargliele con la scusa di mostrargli un beccaccino…
Si, certo, ma è una invenzione di Abatantuono, il beccaccino non c’è mai nel testo originale. Credevo lo sapessi e non capivo la domanda.
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