L’ottimista e il pessimista
Una delle letture più stimolanti che potete fare in questo momento è l’annuale dibattito fra Bruce Sterling e Jon Lebkowsky sullo “stato del mondo” 2017, ospitato da The Well.
Lo so che lo consiglio ogni anno, ma quest’anno lo trovo particolarmente interessante e ho deciso di mettermi di buzzo buono per convincerci a leggerlo.Prima le cattive notizie. Funziona così: Lebkowski (uno dei padri del mediattivismo) inizia il dibattito con una affermazione, che quest’anno è tutta centrata sul concetto di diseguaglianza globale (meglio: globalizzata), a partire da un articolo di Stephen Hawking sul Guardian.
Come su un forum, Sterling (uno dei più importanti scrittori di fantascienza dell’ultimo quarto del secolo scorso) risponde. E si va avanti con altri interventi, talvolta con l’inserimento di commenti e domande da parte dei frequentatori di The Well e della redazione. È tutto in inglese, tutto testo, non c’è grafica e il discorso è ondivago. Una cosa incredibilmente preistorica.
E dura quindici giorni: è iniziato il 30 dicembre e siamo già oltre le cinque pagine.
Migliaia di caratteri.
Quindi non una passeggiata. Però è interessantissimo, sia per le opinioni espresse in sé sia come carotaggio di quel che si agita dentro un certo tipo di intellettualità americana, indipendente dai – o meglio: in rapporto dialogico coi – media mainstream e soprattutto autonoma rispetto a una serie di sistemi di pensiero dominanti.
Il che non vuol dire, naturalmente, che sia tutto oro quel che luccica, che si debba essere d’accordo per forza o che Sterling, che facilmente tende al tono profetico, sia un oracolo. Tutt’altro: anzi direi che per molti aspetti non ci azzecca mai, nel dettaglio. Dove è interessante è nella capacità di cogliere e distillare il sentimento del tempo e rilanciarlo in maniere inaspettate.
Sto ancora nuotando attraverso le pagine e pagine, ma per il momento registro:
- un curioso sentimento di ripiegamento su se stessi, sulla propria salvaguardia personale, di fronte a un sentimento attuale di incertezza e, vivaddio, di pericolo. Ricordo che una decina di anni fa Enrico Euli mi disse: «Nei prossimi quindici anni sarà importante sopravvivere, proprio nel senso di riuscire a sopravvivere fisicamente», ed è un sentimento che ritorna spesso, nel dibattito, assieme, evidentemente, al discorso di tenere da conto ciò che si ha, ciò che si è, le relazioni, il proprio piccolo mondo;
- una accurata disamina del perché Donald Trump è migliore di tutti gli altri presidenti repubblicani possibili;
- una accurata disanima di Donald Trump e di chi ci rimetterà dalla sua presidenza (risposta: i suoi colleghi di governo);
- la morte dell’ambasciatore russo in Turchia come paradigma col quale guardare al mondo;perché le cinque aziende tecnologiche mondiali (Apple, Google, Microsoft, Facebook e Amazon) non riescono a conquistare il mondo e (forse) mai ci riusciranno – per non parlare di Samsung, Intel, Huawei… ;
- perché essere contenti che Putin è vivo;
- un ricorrente senso di morte: se Putin morisse, se Trump morisse, se Zuckerberg morisse… e una estrema personalizzazione della visione del mondo: il mondo senza Putin, Trump, Zuckerberg, come se attorno a loro ci fosse il vuoto;
- del come e perché l’Internet è morta;
- tecnologia, tecnologia, tecnologia e le nostre vite;
- la cooperazione e le strutture aziendali gerarchiche;
- …e molto altro.
Mi pare che ce ne sia abbastanza!
P.S. L’ottimista e il pessimista del titolo sono, per loro ammissione, Lebkowski e Sterling rispettivamente, anche se le due posizioni si scambiano più volte.
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