Liberarsi dalla memoria
Ognuno ha i suoi momenti formativi importanti, le parole che ricorda a lungo.
Uno dei miei è l’espressione purificazione della memoria, introdotta nella vita ecclesiale da Giovanni Paolo II in vista del Giubileo del 2000.
… purificazione della memoria: esso chiede a tutti un atto di coraggio e di umiltà nel riconoscere le mancanze compiute da quanti hanno portato e portano il nome di cristiani
(Incarnationis Mysterium, 11).
Questa idea che occorra sempre, con coraggio e umiltà, fare i conti con la propria storia per fare pace con essa, con se stessi e con gli oppressi (e talvolta anche con gli oppressori) per me e per diversi altri con cui ho condiviso momenti di formazione in quegli anni è diventato un punto di riferimento importante.
Per una di quelle coincidenze che capitano e che spesso, a guardarle bene, non sono poi proprio delle coincidenze, in questi giorni ho letto due interessanti riflessioni sullo stato del laicato cristiano in Italia a cinquant’anni dal Concilio. Dopo averli letti – e apprezzati, mi sono dovuto chiedere se, qualche volta, lo sforzo di purificare la memoria non finisca per essere controproducente.
Il primo articolo, di un giovane storico, Alessandro Santagata, è disponibile in rete e lo potete leggere sul suo blog. Il secondo, più lungo e tutto basato sulla situazione della diocesi di Milano (ma Milano tradizionalmente anticipa e prepara la Chiesa tutta, si dice), è di Giovanni Colombo, storico responsabile dei giovani dell’Azione Cattolica di Milano ai miei tempi. Giovanni ha scritto il suo contributo per un numero monografico di MicroMega dedicato al Concilio: non è disponibile in rete ma è nelle edicole in questi giorni e merita l’acquisto (anche se dall’indice sembra più un vecchio numero di Adista, ecco).
Quello che colpisce è che il metodo seguito in entrambi gli articoli sia quello di ricostruire la storia del laicato cattolico italiano degli ultimi trent’anni: mettendo a tema il trauma dell’ascesa di CL a scapito dell’Azione Cattolica dentro il quadro più generale dell’ascesa e declino dei movimenti, lo spezzarsi, ricomporsi (a forza) e lo spezzarsi di nuovo dell’unità politica dei cattolici, il lungo periodo di governo della Chiesa italiana da parte del Cardinal Ruini e le scelte che questo ha comportato…
Sono articoli interessanti e l’analisi è largamente condivisibile, però alla fine mi hanno lasciato un vago senso di vuoto. Entrambi sono singolarmente privi di riferimenti per l’oggi, come se l’energia spesa nel valutare il passato esaurisse le capacità degli autori e li privasse della forza di ragionare sull’attualità.
È evidente che è giunto il momento di fare i conti, a livello di valutazione, con la lunga stagione di Ruini, e in parte anche con il papato di Giovanni Paolo II, ormai sufficientemente lontani da poter essere guardati con il distacco necessario. Ma il tema dell’attualità del Concilio è ben altro che non il ragionamento su come il Concilio è stato attuato – o non attuato – nell’ultimo trentennio. E del resto si tratta di un’analisi tutta intraecclesiale che salta a pié pari, per esempio, la riflessione su come è cambiata la società italiana negli stessi trent’anni, su come prima il craxismo e poi il berlusconismo abbiano modificato la relazione delle persone con le merci, con la ritualità, col lavoro, con gli affetti – tutti temi, evidentemente, che attengono al rapporto col sacro.
Insomma, è chiaro che la riflessione sul Concilio spinge le persone più sensibili della Chiesa italiana a fare i conti con la nostra storia recente, anche per abbandonare quanto di peccato abbiamo accumulato – compromissione col potere politico, chiusura nei confronti di alcune categorie sociali, mancanza di dialogo… Ma la posta in gioco dell’attuazione del Concilio non sta nel guardarsi indietro, ma casomai nel guardare avanti. Troppa attenzione alla purificazione della memoria può distrarre, oppure può costituire l’ennesima pietra di inciampo alla vita ecclesiale: non si sente davvero il bisogno, credo, di una rinnovata polemica fra Azione Cattolica e movimenti.
Meglio sarebbe, casomai, riproporre temi abbandonati ma ancora validi: la mediazione culturale, per esempio. Il primato della formazione. Riprendere in mano la riflessione liturgica, o lo stile del lavoro diretto sulla Parola.
Oppure ragionare di più su temi innovativi, come i linguaggi. Che parole dicono gli uomini di oggi? Che parole dice la Chiesa? Sono le parole esplicite e quelle implicite.
Su linguaggi e parole sono debitore allo stesso Giovanni Colombo di una provocazione troppo bella per non riproporla qui. È una foto presa in piazza Wagner a Milano, domenica scorsa. Raffigura una chiesa antica la cui facciata è in rifacimento. Come usa le impalcature sono coperte da un telo. Qualcuno, un genio penso, ha avuto l’idea di vendere lo spazio pubblicitario così ottenuto. È in questo modo che si rischia di dare l’idea che la Chiesa si compromette coi potenti, col vano sperpero, con le merci. Si passa dalla Chiesa di Dio alla chiesa di Dior…
Lo sai che io non sono esattamente pro religioni in toto. Detto questo ho la fortuna di conoscere persone speciali all’interno della religione cristiana che sono degno esempio dei valori positivi di questa religione.
Personalmente parlando non c’è gran bisogno di linguaggio, piuttosto di esplicito esempio ed esplicita sobrietà. Siamo in un periodo dove le persone hanno una coscienza culturale decisamente maggiore di 40 anni fa e ricordano tutte le parole che gli vengono dette. Allo stesso modo rinfacciano tutti quegli atteggiamenti che non rispecchiano queste parole. In un momento come questo nonostante vi siano moltissimi cristiani, ve ne sono un’altissima percentuale di non praticanti, di “credo in Dio ma non nella chiesa”.
Non ho ricette ed onestamente non trovo negativo che le persone si allontanino dalla religione, anzi. Tuttavia, visto il potere (non in senso dispregiativo) che l’istituzione Chiesa possiede, sarebbe opportuno che si adoperassero in maniera più decisa verso quell’immagine della religione professata dalle scritture.
Si vive tuttavia in una società con mille idee e mille sfaccettature, dove non vi è più il filtro del senso della “famiglia cristiana” come pilastro societario e, di conseguenza, non vi è più vergogna di non capire o non accettare tali dettami.
Non vi è maniera di riappacificare i fedeli con il clero se non con azioni sul campo.