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Mollato sulla soglia della sintesi

Ho finito da poco di leggere i due romanzi dedicati da Don Winslow alle avventure del detective privato Boone Daniels. Come in parte era ne l’Inverno di Frankie Machine il vero protagonista dei romanzi non è tanto Boone – che comunque è un bel personaggio – quanto il mondo del surf, i suoi riti, la sua cultura, la sua… etica, perfino, e tutto un vasto milieu di personaggi che ruotano attorno ad esso.

Questo richiamo fascinoso del surf che proviene dai romanzi è molto forte. Leggevo La pattuglia dell’alba all’epoca della Global Game Jam e quando ho scoperto che il tema della competizione era Waves – cioè “onde” – ho seriamente pensato di fare un gioco dedicato alla filosofia del surf. Non pensavate che esistesse una filosofia del surf? Beh, vi sbagliate. E se leggerete i romanzi non potrà più rimanervi alcun dubbio. Mai più. Ma non è questo il punto: il fatto notevole è che i romanzi sono capaci di rendere credibile l’idea che si possa fare un gioco sulla filosofia del surf e che questo possa conquistare le masse. I romanzi sono capaci di farti credere, almeno per un po’ di tempo, che tutto quello che ti serve è il surf.

Passa la canna, fratello.

A parte il tema del surf, però, ci sono un paio di osservazioni su questi gialli che riguardano più il modo di lavorare di Winslow, la sua poetica, la tecnica giallistica e un curioso senso di incompletezza che rimane dopo la lettura, e mi sembrava utile condividerle con voi.

La pattuglia dell’alba (Don Winslow, Einaudi 2010, € 18,50); L’ora dei gentiluomini (Don Winslow, Einaudi 2016, € 19)

Partiamo dalle cose di base. Il protagonista dei due romanzi è Boone Daniels, ex poliziotto, investigatore privato a metà e animale anfibio per l’intero, della cui curiosa educazione ho già raccontato qualche tempo fa.

Nel primo romanzo Boone è impegnato a cercare di ritrovare una testimone scomparsa. Lo studio legale che lo assume gli mette alle costole una avvocatessa inglese che è tutto il contrario di lui – lui rilassato californiano senza un pensiero al mondo tranne il surf, lei rigida come se avesse ingoiato un manico di scopa. D’altra parte il luogo comune è che le belle avvocatesse inglesi molto rigide a un certo punto si sciolgono i capelli e si rivelano per delle tigri del sesso, quindi c’è una certa tensione sessuale trattenuta fra i due e i lettori si chiedono come andrà a finire, tanto più che Boone ha una non-fidanzata-adesso-usciamo-anche-con-altri che è la cameriera Sunny di cui ho parlato indirettamente l’altro giorno: alta, bionda, bellissima, una tipica bellezza californiana da spiaggia e per giunta fortissima sulla tavola da surf. E a complicare tutto c’è il fatto che sta per arrivare la mareggiata del secolo, l’occasione di cavalcare onde come ti capitano una sola volta nella vita, e Boone deve sbrigarsi a finire l’indagine se non vuole perdere l’occasione.

In sé il meccanismo giallistico de La pattuglia dell’alba non è particolarmente interessante. Quella che è interessante, oltre alla chimica fra i personaggi, è ovviamente l’ambientazione, ma anche qui bisogna intendersi: perché per farti sentire che cosa è il mondo del surf Winslow ricorre spesso e volentieri a vere e proprie secchiate di quasi-infodumping  e a un meccanismo stilistico che richiede che tutti i personaggi, tutte le situazioni siano più grandi della vita normale: passi che nella Pattuglia dell’alba (cioè gli amici coi quali Boone esce in mare al mattino presto, prima di andare al lavoro) ciascuno sia un elemento caratteristico con tratti da leggenda, il samoano di centosettanta chili, il bagnino amato dalle donne, il poliziotto giapponese… perfino il ragazzino che Boone ha preso sotto la sua protezione, il cucciolotto della compagnia, ha dodici dita dei piedi (e infatti lo hanno soprannominato Hang Twelve, “Vada per dodici”). Passi. Ma sembra che la California meridionale sia tutta così: chiunque incontri, da qualunque parte, è una specie di essere mitologico, come quando scrivevamo le nostre prime avventure di D&D e tutti i comprimari, anche il tizio che puliva i bagni, erano come minimo maghi del quinto livello. Qui è lo stesso e a un certo punto – un momento molto breve, per la verità – ti viene voglia di tirare il libro al muro, tanto Winslow esagera.

Se La pattuglia dell’alba si salva è per il tono patetico, il registro stilistico che Winslow ha imparato a padroneggiare da maestro. Il quale patetico, nel senso di creare commozione, assume di volta in volta sfumature differenti, dal sentimentale al confidenziale all’understatement, ed è in fondo la traduzione al contemporaneo del cinismo romantico dei Chandler e degli Hammett: là i detective erano cani solitari in un mondo di lupi, capaci di fare la cosa giusta e difficile al momento giusto, per quanto potesse essere costosa; per non cadere nella retorica, facevano sarcasmo su se stessi. Da allora sono passati il ’68 e i figli dei fiori – Boone potrebbe essere figlio di Zonker Harris, più o meno – e un certo tono maschile non è più adatto: quindi Winslow sostituisce il patetico al cinismo e quando i suoi personaggi, come deve accadere per forza, fanno la cosa giusta e difficile al momento giusto pigia sul tasto della complicità emotiva e della commozione: per non cadere nella retorica, fa sarcasmo su noi che ci commuoviamo e su se stesso che racconta la storia.

Funziona moltissimo.

Anche così, La pattuglia dell’alba ha una fase centrale un po’ difficile, finché l’indagine non riprende quota, l’onda – sia quella reale che quella metaforica – non arriva, le vicende vengono rullate e poi risputate fuori e la conclusione si rivela soddisfacente. Quiete, crisi, nuova quiete. Tesi, antitesi, sintesi: perché ovviamente i personaggi dopo non sono più gli stessi di quel che erano prima.

Ma il mondo del surf, quello rimane lo stesso dall’inizio alla fine del romanzo: un mito affascinante. Dato che Winslow si è assunto il ruolo di Ellroy di cantore della parte oscura della storia americana – e californiana in particolare – La pattuglia dell’alba sembra un po’ leggero rispetto ad altri libri di Winslow: perché la storia c’è ma è quasi tutta al positivo, la fascinazione continua, in una lunga serie di speculazioni immobiliari sfortunate ma sempre ripetute e salvate alla fine dalle basi militari, per un pezzo di terra magnifico donato da Dio agli uomini.

Tesi. Il mito della California.

Solo che quando prosegue le avventure di Boone con L’ora dei gentiluomini Winslow sembra pronto a rimangiarsi tutto. Se nel primo libro la metafora era quella dell’onda, qui il tema è quello dei sepolcri imbiancati, dei giganti dai piedi d’argilla, del mito – appunto – della California poggiato precariamente su uno dei terreni più instabili del pianeta.

Fondamenta instabili. Crepe nascoste nelle facciate. Castelli di carte pronti a crollare. Antitesi.

Boone dovrebbe indagare – sempre per conto di Petra e del suo studio legale – sulla morte di un esponente della comunità locale: un campione di surf, un maestro di vita, una vera leggenda. Solo che non deve scoprire l’assassino, che è già in galera, deve collaborare alle indagini difensive.

Tradimento della comunità. Rottura degli equilibri, dei miti.

C’è un momento in cui Winslow gioca a carte scoperte. Boone deve decidere se accettare l’incarico e va a chiedere consiglio al suo prete, un bagnino esperto di donne e filosofia, altro componente della Pattuglia. E gli chiede, più o meno, se non pensi che loro siano dei tizi che se la tirano tanto ma che in realtà non sono altro che dei buzzurri incapaci di vedere oltre i loro nasi coperti di crema solare. E Dave, senza nemmeno girarsi a guardarlo – mai voltare le spalle all’oceano – gli dice: «Ma certo che è così».

Appunto. Il mito è infranto.

Il che crea una curiosa dimensione di negazione delle premesse del libro precedente e rende L’ora dei gentiluomini, preso come continuazione, molto più compiuto, sebbene meno affascinante. La riflessione sulla California e la storia americana sembrano meno ingenue e i tormenti di Boone più interessanti: le crepe del mondo del surf – è diventato sport di massa e commerciale e la sua diversità, la sua cultura, possono essere considerata pura illusione – vanno di pari passo con quelle della sua integrità personale. Si chiama “diventare adulti”, prendere atto che quelle della giovinezza erano, appunto, illusioni. Forse, addirittura, si può smettere di uscire con la Pattuglia e andare alla più pacata ora dei gentiluomini, quando tranquilli professionisti ex divi di spiaggia portano la tavola fino alla battigia ma poi stanno lì, più che altro, a chiacchierare e rivangare le imprese del passato. Potrebbe perfino, Boone, iscriversi a Giurisprudenza e accettare un lavoro nello studio di Petra. Andare al lavoro dalle nove alle cinque. Brrrr.

Se La pattuglia dell’alba poneva una tesi, L’ora dei gentiluomini  ne è l’esatta antitesi. Là il mito solare, l’impresa – entrare nella green room dell’onda e uscirne in piedi – qui il mito oscuro, il viaggio – penetrare nella caverna maleodorante e piena di trasudo fetido e uscirne integri.

Tesi e antitesi.

Sto accuratamente evitando di raccontare particolari sulle due trame, ma credo che nessuno si stupirà se dico che al termine de L’ora dei gentiluomini l’equilibrio è, ancora una volta, ricostituito. Fra l’altro con un sottofinale con tanto di rissa di spiaggia destinata a diventare leggenda in tutte le cale e calette della California meridionale, un gran pezzo, ancora una volta, di patetismo.

Il problema è che, per avere posto in maniera così forte l’antitesi, la narrazione sembra mozza. Manca la sintesi, che non può essere quella interna alla vicenda del singolo libro. Manca il terzo libro che completi la trilogia, un libro che temo ormai Winslow non scriverà mai (The gentlemen’s hour è del 2009), e che chiuda il cerchio sia sul giudizio della storia della California (un abbozzo di risposta, naturalmente, è in Savages) che sulla vicenda personale di Boone e degli altri personaggi: perché possono averla schivata questa volta, ma diventare adulti è una cosa che non si può evitare.

Alla fine di L’ora dei gentiluomini tutti i temi sono sul tavolo, tutte le domande sono state poste. Tesi e antitesi.

Mancano le risposte. Temo purtroppo che la sintesi se la dovrà fare ogni lettore per conto suo.

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