Le cose che leggo in aereo
Ha notato il mio amico Maurizio Masala che nell’articolo di ieri ho menzionato:
vestiti della collezione Guess di due anni fa
e si è chiesto, giustamente, come faccia a capirlo a colpo d’occhio. Gli ho detto che era una licenza poetica (cioè: le signore erano marchiate Guess ma non avevano l’aria di essere all’ultima moda – anche il capello era curato ma non con un taglio particolarmente di qualità – e sintetizzando ho scritto così, dopo aver scartato la definizione sporty chic de noantri).
Maurizio invece, ma anche qualche altra amica e amico, credeva che magari fossi un appassionato lettore di riviste di moda, o magari un esperto di moda femminile sotto mentite spoglie. Tipo come quella volta che ho imparato l’enciclopedia della musica quasi a memoria per questioni di giochi di ruolo, ed ero in grado di recitare l’insieme delle famiglie e sottofamiglie degli strumenti idiofoni, cordofoni, aerofoni e membranofoni e citare con scioltezza la differenza fra una raganella e un triccheballacche. Cose inutili che ingombrano la soffitta del cervello, perché non la moda?
È vero che il mio feed Instagram potrebbe riservare sorprese, ma questa è un’altra storia e sarà raccontata un’altra volta e comunque no, di moda capisco il giusto: più che altro mi baso sull’osservazione casuale (ma attenta).
Però la battuta di Maurizio mi ha ha fatto ricordare il tipo di riviste che ho sempre letto in aereo, soprattutto nel periodo che scrivevo le avventure di Cyberpunk e simili. Il periodo, per capirci, nel quale “traducevo” le caratteristiche delle armi da fuoco in termini di sistemi di gioco e i voli aerei e i viaggi in treno si prestavano benissimo per quel lavoro ripetitivo. Qualcosa di quelle letture dei bei tempi andati mi è rimasto in casa:
Chissà, perché, a un certo punto mi è sembrato meglio smettere.