Nonostante tutti i suoi difetti
Girovagando per Torino mi sono imbattuto in una locandina che annunciava una proiezione straordinaria di PIIGS (sottotitolo: Come imparai a preoccuparmi e a combattere l’austerity), un film di cui in diversi ambienti si parla molto e che ha peraltro una circolazione quasi clandestina, con proiezioni organizzate apposta qui e là per l’Italia (ho l’impressione che sia stato prodotto in un numero ridotto di copie).
Perché se ne parla molto? Perché è un film (meglio: un documentario) che intervista, fra gli altri, Warren Mosler, uno degli economisti esponenti della Modern Monetary Theory, e il giornalista Paolo Barnard, che della teoria è stato un divulgatore in Italia: ed è quindi in qualche modo un film-bandiera che viene promosso da ambienti diversi ma tutti accomunati da una visione negativa dell’euro e dal desiderio del ritorno a una moneta sovrana, e quindi è proposto non per motivi artistici o sociali ma direttamente politici: a Torino per esempio la proiezione era organizzata dal Movimento Sovranista Italiano.
Siccome non so quando mai arriverà a Cagliari, sono andato a vederlo. Denaro, crisi, fiscal compact, austerità, euro, credit crunch. Non potevo fare altrimenti, o no?
PIIGS – ovvero come imparai a preoccuparmi e a combattere l’austerity (Cutraro, Italia 2017)
Che tipo di film è PIIGS? Un documentario con un piglio a metà fra Report e Mchael Moore (cioè: ormai già visto e un po’ debole): segue un suo filo logico di ricerca e lo sviluppa da una parte attraverso una vicenda concreta, le peripezie di una cooperativa che fa servizi per le pubbliche amministrazioni e che, grazie al patto di stabilità, al fiscal compact eccetera è progressivamente ridotta alla fame, e dall’altra attraverso una serie di interviste a esponenti della scienza economica, della società e della politica, più un po’ di filmati di repertorio e di altro materiale di connessione.
Nel suo palese essere schierato, e forse proprio a causa di questo, PIIGS si rivela pieno di difetti. La vicenda della cooperativa, che emotivamente è molto forte, non viene di fatto mai spiegata fino in fondo nei suoi meccanismi: cioè, come mai non viene pagata? Perché lo Stato trasferisce i fondi in ritardo, perché non li trasferisce, perché il bilancio del Comune è fatto male, perché qualcuno se li mette in tasca? E perché continuano a lavorare per chi, palesemente, non li paga? Io una serie di risposte, conoscendo il settore, le ho, ma dubito che lo spettatore comune riesca a farsi un quadro esatto della situazione – a parte un generico struggimento di cuore – e resta debole la saldatura fra il contrarsi del welfare, perché è di questo che si tratta, e il resto del film.
Il quale resto del film è la parte oggettivamente più debole, per carenza di intervistati credibili. Mi spiace per gli amici della MMT di Cagliari, ma Mosler (arruffatissimo) e Barnard (fastidiosamente convinto di sé come il peggior Travaglio) non ci fanno complessivamente una gran figura. E fra gli altri c’è un Fassina (Fassina, mio Dio) legnosissimo, un Erri De Luca totalmente spaesato e una serie di altri, pochi dei quali convincenti. La scelta degli intervistati sembra più dettata dalla voglia di presentare testimonial, gente che è d’accordo con noi (dimenticavo: c’è anche Varoufakis, che peraltro si difende bene), che di argomentare: e siccome i testimonial, in questo mondo veloce, decadono in fretta, capita che alla fine metti in fila dei santini non più di moda. O meglio, nel caso di Fassina apparentemente non crea problema nemmeno che non sia “di moda” già al momento nel quale viene intervistato: è ancora al governo, un governo che sposa le stesse politiche che il film critica.
D’altra parte, quanti economisti per bene si potrebbero trovare disposti a dire che il fiscal compact è una follia criminale? Temo: non tanti. E quindi rimangono a disposizione soltanto, diciamo, gli eretici. Ed è tutto qui il motivo per il quale PIIGS, nonostante tutti i suoi difetti, alla fine funziona: perché la situazione è di una gravità tale, di una follia tale, di una perversione tale, che basta una breve dichiarazione di Draghi, un aneddoto di Varoufakis, due osservazioni qualunque buttate là, per renderlo imperdibile.
Nonostante tutti i suoi difetti.