Il mio nuovo eroe…
… è Lee Curtis, un prete episcopale di Indianapolis.
Costui.
Se trovassi un prete perbene in città, si potrebbe fare al prossimo GioComix. Padre Lee Curtis l’ha fatto alla GenCon, la più grande convention mondiale di giochi, ma potremmo accontentarci lo stesso.
Il tema, però, non è tanto questo. Quello a cui sto pensando, in questo periodo, è l’atteggiamento. Per esempio in Val Venosta, un territorio di passi, valichi e incontri, c’erano (ci sono) monaci benedettini. C’erano abbazie in tanti luoghi isolati, nel Medio Evo, ma in fondo isolati mica tanto: erano lontane dalle città ma sempre – o spesso – su vie di transito, come appunto in Val Venosta. E mi è venuto in mente: ma oggi un ordine monastico non potrebbe prendersi in gestione un distributore con posto di ristoro sull’autostrada?
Per esempio.
Gli stessi monaci di Marienberg che ho visitato un tempo gestivano le scuole. Permettevano ai contadini di far studiare i figli, a semiconvitto, senza doverli mandare lontano. Oggi la scuola, ovviamente, è chiusa; a prescindere da qualunque altra considerazione, non ce n’è più la necessita sociale: ci sono mezzi di trasporto più efficienti e un ben diverso numero di scuole. Ma ci saranno altri crinali che separano la gente; magari un crinale digitale, soprattutto nel Sud Italia? Nuovi saperi dai quali alcuni sono esclusi? Perché dei monaci non potrebbero gestire una software house?
Risposta ovvia: nella maggior parte dei monasteri hanno tutti settant’anni. Ma non intendo dire che lo devono fare quelli che ci sono adesso: dico che sarebbero azioni di evangelizzazione con migliori prospettive di boh, coltivare l’orto (a parte che niente vieta che anche nella software house ci sia un orto, ovviamente); per un gruppo di giovani che vogliano sperimentare una vita comunitaria attiva un distributore di benzina con bar per chi si vuole fermare a prendere un caffè e cappella per chi si vuole fermare a parlare sarebbe un bel progetto. O, tornando alla software house, si potrebbe fare una azienda molto moderna, nella quale però cinque volte al giorno si dicono le Ore, come prescrive la regola di San Benedetto: capace che Tim Cook ruberebbe subito l’idea. Oppure: perché un monastero non può avere studi di registrazione da mettere a disposizione dei musicisti dei dintorni? Dopotutto, sono già specialisti nella musica. Ci sono mille esempi: va benissimo che in molti monasteri siano specialisti del restauro dei libri antichi, ma oggi quali saperi si vanno perdendo? Al tempo dei barbari i monaci copiarono e salvarono il sapere dell’antichità classica: oggi?
Naturalmente non riguarda solo i monaci, tanto più riguarda le parrocchie. Con quali persone vuoi essere solidale? Qual è la tua comunità? Padre Lee Curtis, vedo dalla sua pagina Facebook, cura la sua comunità (se con un taglio un filo troppo politicizzato per i miei gusti): solo ne vede i confini in modo diverso da quello che normalmente impiegano altri. E si preoccupa di essere solidale, non di adescare: vedo che ai colleghi che hanno scoperto che le loro chiese sono punti di raccolta in Pokemon Go offre consigli pastorali abbastanza condivisibili.
Un paio di pensieri veloci su chiese e Pokemon Go…
- Non fatene quel che non è. È un gioco. Le chiese sono parte del gioco. Giocate il gioco per giocare il gioco, oppure no. La gente può fiutare la fuffa ingannevole da lontano un chilometro.
- Non trascurate la forza di una legame comune e del pretesto per iniziare una conversazione. Su una passeggiata di un miglio ho parlato con sei persone fra i 15 e i 45 anni mentre ero in clergyman. In altre situazioni non sarebbe successo (soprattutto nel Midwest, benedetti loro).
- Se avete intenzione di farci marketing, imparate di cosa state facendo marketing. Pokemon non condurrà nessuno da Gesù, ma potrebbe portarli da voi.
- Il vostro edificio è parte del gioco. La Chiesa non è il vostro edificio. La sola cosa che otterrete è l’aumentata percezione della vostra esistenza.
- Qualunque cosa facciate, se non vi state divertendo, non fatela (vedi il commento sulla fuffa sopra).
Ultimo pensiero. Se non offrite già acqua, ricarica delle batterie del cellulare, uso dei bagni e wi-fi ai senzatetto della vostra zona, sarà assolutamnte meglio che non li offriate ai giocatori di Pokemon Go. L’integrità è la chiave. Sempre.
Al fondo, naturalmente, la questione è quella del rapporto con la tradizione. Ci sono forme di pastorale e di organizzazione che si scambiano spesso con la sostanza: Benedetto voleva che i suoi monaci lavorassero per sostentarsi e che la loro preghiera – peraltro continua – fosse nutrita dalle necessità di far fronte alle esigenze della vita. Questa è la sostanza: l’orto è la forma, ma è accessoria. L’idea che si è sempre fatto così, per esempio, è ingannevole: spesso vuol dire che si fa così da un paio di generazioni.
Talvolta, addirittura, le forme ormai abbandonate sarebbero migliori.
Per esempio io sono abbastanza dentro la vita e dell’università locale, come si sa, e trovo poco felice un’idea di pastorale universitaria che prevede che gli universitari vadano a trovare la Chiesa in un qualche posto fuori dell’Università stessa, in orari nei quali non fanno vita universitaria: funzionava (forse) in altri tempi, oggi molto meno. Eppure nella storia della pastorale c’è un modello alternativo adatto, sebbene considerato superato, ed è quello del cappellano, come all’ospedale: uno che gira, entra nei posti, nei corridoi, negli uffici o negli studi, saluta, si informa come va, è disponibile se c’è qualcuno che vuole confrontarsi, qui e ora, e se proprio non lo cerca nessuno si siede al chioschetto del caffè, come tutti gli studenti, o va fuori dell’aula degli esami e si offre di benedire quelli che stanno per entrare. Funzionerebbe benissimo.