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Il destino del bravo ragazzo

Incontro talvolta sull’8 una coppia di ragazzi sui diciotto anni.

Lei è piccoletta, carina e piuttosto peperuta: non bella, ma fisicamente molto aggressiva, anche nel vestire.

Lui è grassottello, pacioso, con la barbetta. Vestito da ragazzino perbene. Mi ricorda un orsacchiotto. Un po’ soggetto, magari, ma sorridente.

Quando li incontro lei gli sta sempre, sempre, sempre raccontando le peripezie della propria vita sentimentale.

Lui, che ha l’aria molto devota, ascolta e prova a darle buoni consigli.

Secondo me perché non le può fornire né cattivo esempio né altri contributi più diretti, ecco.

Però vorrebbe, si vede.

Per esempio l’ultima volta che li ho incontrati stavano seduti davanti a me, nello spazio da quattro dei sedili, e lei raccontava che col fidanzato, quando lo fanno, lei non si sente granché a suo agio, non le piace, le pesa, preferirebbe parlare, farsi le coccole, e invece, che palle, lui vuole sempre farlo.

Che, diciamolo, si assiste a conversazioni molto particolari, sulla linea 8. Che ti tocca tuffarti in Tex, temendo che lei diventi perfino più esplicita.

Cosa che puntualmente ha fatto. Era piuttosto esplicita.

E lui in risposta le faceva osservare che così non va bene, no? Cioè, non è normale. Stare in una relazione con questi imbarazzi.

Ha detto proprio così: stare in una relazione.

Che in un rapporto sano su queste cose ci si confronta, si stabilisce un equilibro diverso. Non può essere che lei sia perennemente a disagio. E forse si dovrebbero cercare esperienze più appaganti, una relazione diversa, migliore. Qualcuno che le voglia bene in altro modo. Perché così è evidente che qualcosa non va, mentre con un altro…

E lei, che sia ingenuissima o regina delle gattemorte, gli ha detto: «E chi?».

E lui, si vedeva, era lì pronto a dire io, io, io, io che ti amo con tutto il cuore da aaaaanni e tu non te ne accorgi, IO.

Solo che in quel momento, come in Autogrill di Guccini, un secondo prima che lui aprisse bocca a lei è squillato il telefono, ha risposto dando piacevolmente della troia all’interlocutrice e si è lanciata in una conversazione su feste, pettegolezzi su ragazzi palestrati e avventure semierotiche spericolate (spericolate per ragazze diciottenni, insomma).

E siamo arrivati a piazza Matteotti che lei pianificava festini con ragazzi, con lui di nuovo devotamente a traino. Il momento era passato.

L’altra sera uscivo da una pizzeria in piazza Garibaldi e li ho incontrati. Lei , davanti, camminava svelta, decisa, sapendo evidentemente dove andare. Lui arrancava, limitandosi a starle dietro, sempre devotamente, mentre lei parlava a mitraglia, decideva, faceva. Col cellulare in mano.

Pero si chiamavano amore vicendevolmente. Forse il momento buono è arrivato, alla fine.

Non ho saputo decidere se essere contento per loro o provare un brivido di sgomento.

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