Si diceva, allora…
I progressi dell’igiene pubblica che hanno elevato le medie della vita umana pongono sempre più la quistione sessuale come una «quistione economica» a sé stante, che pone dei problemi coordinati del tipo di superstruttura. L’aumento della media della vita in Francia, con la scarsa natalità, e con la ricchezza naturale del paese, pone già un aspetto di problema nazionale: le generazioni vecchie vanno mettendosi in un rapporto anormale con le generazioni giovani della stessa stirpe, e le generazioni lavoratrici si impinguano di masse straniere immigrate che modificano la base: si verifica, già come in America, una certa divisione del lavoro (mestieri qualificati per gli indigeni, oltre alle funzioni direttive e organizzative, e mestieri non qualificati per gli immigrati). Lo stesso rapporto si pone in ogni paese tra la città, a bassa natalità, e la campagna prolifica, ponendo un problema economico abbastanza grave: la vita industriale domanda un apprendissaggio in generale, un adattamento psico-fisico a condizioni di lavoro, di nutrizione, di abitazione ecc. che non sono «naturali»: i caratteri urbani acquisiti si tramandano per ereditarietà. La bassa natalità domanda una continua spesa di apprendissaggio e porta con sé un continuo mutarsi della composizione sociale-politica delle città, ponendo quindi anche un problema di egemonia (Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Quaderno I § 62).
È un brano notevole che ha echi immediati con l’oggi.
Alcune osservazioni sparse: Gramsci discute dell’argomento all’interno della quistione sessuale, argomento dell’intero paragrafo nel quale si parla anche di questioni apparentemente slegate fra loro e con l’afflusso di immigrati, secondo il nostro modo di ragionare: il sesso come sport, per esempio, l’abolizione della prostituzione legale, i rapporti fra città e campagna e una serie di altre cose. IL nesso c’è, se si legge tutto il paragrafa (che comunque ha il senso di un appunto veloce), ma è la linea di pensiero che non ci viene spontanea.
L’altra cosa interessante è che Gramsci pone il tema dell’immigrazione in temi squisitamente strutturali e economici (e non come facciamo oggi solitamente, in termini solo superficialmente economici) il che da una parte lo mette al riparo da ogni rischio di razzismo o di un approccio di supposta superiorità culturale, ma anche da ogni forma di buonismo: le forme di immigrazione creano tensioni (un problema economico abbastanza grave) ma queste tensioni dipendono da una struttura economica (l’apprendissaggio).
Su quest’ultimo punto dell’apprendissaggio mi sono chiesto, continuando col parallelo con l’oggi, quali siano le esigenze che, in una società globalizzata, il giungere nel nostro paese (o negli altri paesi del nord del mondo) pone a chi proviene dal sud del mondo per adattarsi al modo di produzione post-industriale: da una parte, apparentemente, l’apprendissaggio è già fatto – tutto il mondo ha in mano un cellulare, sembrerebbe (ma sarà davvero così?), dall’altra palesemente non lo è, e il clash culturale che viviamo lo dimostra; ma quali ne sarebbero (ne sono) i contenuti? Che apprendissaggio chiede la gig economy, la sharing economy, l’economia digitale?