A proposito di quando si rischia di morire
La settimana scorsa, all’aeroporto in partenza per Bilbao (in realtà Barcellona, come prima tappa), ho rischiato di morire.
Non mi era mai successo prima.
È successo questo: eravamo in fila per l’imbarco e io stavo mangiando il panino con la frittatina che Maria Bonaria aveva preparato con due fette di cifraxiu. Mi sono girato per salutare i colleghi che erano casualmente sul nostro stesso volo per andare a Cadice e il boccone mi è andato di traverso.
Ho fatto coff coff credendo che bastasse.
Non bastava.
Allora mi sono girato e allontanato dalla fila perché, diciamo, ho pensato che sputazzare frittatina in giro non fosse elegante.
Solo che non usciva niente e, mi sono reso conto improvvisamente, nemmeno l’aria.
Soprattutto, l’aria non entrava neanche.
Allora mi sono girato di nuovo, per dire: «Aiuto!», solo che tutto quel che ho detto è stato invece più o meno: «hhhzzzzrrrg».
Che Maria Bonaria dice che stando lì, agitando le manine, ero piuttosto buffo.
Che devo dirvi? Io invece pensavo che non ci si sente mica bene, a fare: «hhhzzzzrrrg».
Perché, per quanto possa sembrare improbabile e sì, ridicolo, dopo un po’ si muore.
Per fortuna c’era un collega piuttosto percettivo che mi ha chiesto se volevo aiuto e che mi facesse la manovra.
«Hhhzzzzrrrg», ho fatto io.
E allora lui mi ha abbracciato da dietro (guarda come sono amici, ha pensato un’altra collega) e ha fatto pressione sotto lo sterno.
«Meglio?», ha chiesto. «Hhhzzzzrrrg», ho risposto.
E allora lui l’ha fatto altre due o tre volte e alla fine, miracolo!, ho respirato di nuovo.
Oh, massimo un minuto in tutto, diciamocelo. E rischiare di morire è una cosa da mettere nel contesto: c’era un sacco di gente e dopo che ho ricominciato a respirare si sono fatti avanti un paio di medici premurosi a chiedere se andasse tutto bene. È davvero molto improbabile che potessi davvero morire; quel che voglio dire è che non mi ero mai trovato in una situazione nella quale se (un grosso “se”) si fosse prolungata sarei morto effettivamente.
E quindi poi mi sono messo a pensare. Che effetto mi ha fatto?
Ecco, nessuno. Uno pensa che mentre è lì che fa «hhhzzzzrrrg» allora sicuramente gli passa davanti agli occhi tutta la vita o cose così. Boh, non direi. Oppure dopo che è successo riflette sulla caducità delle cose: io in aereo ho dormito. O magari dice: appena posso chiamo Caio, che non vedo da anni, e gli dico che anche se quel giorno mi ha molto offeso, basta, su, facciamo la pace. Mah.
Non è che non fossi preoccupato durante (come ho provato a dire, avevo una acuta coscienza del pericolo, sebbene senza panico) e dopo mi è venuta una gran voglia di raccontarlo a tutti (chat dei Fabbricastorie: «Oh, comunque ho rischiato di morire, eh», risposta: «Cos’è, ti hanno servito una Ichnusa calda?»), per tutti i giorni seguenti, il che è abbastanza un segnale che qualcosina là sotto si era smosso, ma a parte questo non granché.
Dice: è perché veramente non sei mai stato in pericolo. Può darsi, certo, però ho trovato la cosa sorprendente, davvero. E un po’ mi sono vergognato: dovremmo attraversare la vita con un po’ più di coscienza, ho pensato, e farci interrogare di più. Ma non sono cose che uno decide a comando, evidentemente, e quindi tutto quel che posso fare è raccontarlo. Con sorpresa, ecco.
Durante, insomma, abbastanza poco. Dopo nulla, sebbene a quel punto Maria Bonaria invece si fosse preoccupata, anche se poi insomma si vedeva che stavo bene.
Anche il collega (che non ho nemmeno ringraziato, approfitto per farlo adesso) si è preoccupato, e tramite Whatsapp ha chiesto ad altri colleghi di informarsi. Come stai? E tu come lo sai?? Un paio di messaggi giravano da Bilbao a Cadice, via Cagliari.
Che poi, mi dicono, il collega è specializzato in “salvataggi” aeroportuali. Una volta un altro passeggero è stato colpito da un attacco di dissenteria fulminante e lui gli ha dato un paio di pantaloni suoi presi dal bagaglio, perché quello non aveva più niente che si potesse mettere che non fosse, ecco, più sporco di quanto possiate immaginarvi.
Uno con la dissenteria, l’altro con il boccone di traverso.
«Beh,a te è andata senz’altro meglio», ha osservato Maria Bonaria, con aria critica.
Per varie ragioni ho fatto un coro di primissimo soccorso, e ci hanno insegnato anche la manovra di quello lì, comesichama, insomma quello che han fatto a te.
La prima cosa che mi è passata per la testa è stata “Ecco, speriamo di non doverla mai fare davvero, se la fai male perfori lo stomaco, se non la fai abbastanza bene quello muore”.
E la seconda è: come cavolo fai a capire che uno che dice “gghhh” (se riesce a dirlo) in realtà ha la trachea otturata? E che non sta semplicemente muovendo le mani per salutare lo zio laggiù in fondo? O è un po’ tocco? E se succede a te, che probabilità ci sono che ci sia uno nei dintorni che capisce che sta succedendo, e che conosce (e si ricorda) la manovra di Heimlich (grazie san Google) ?
Insomma sono contento ti sia andata bene. E che tra chi avevi vicino non ci fossi io.
😉
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